Poeta “malgrado” l’incidente in moto che a 16 anni gli ha paralizzato le gambe. Spiega Cappello:
“Uno scrittore in versi non tiene conto solo della tradizione letteraria e dell’aspetto tecnico, ma lavora sui sensi e sull’ascolto. Io, il movimento e l’azione, me li devo immaginare. Ricostruire ogni volta. Non li ho più in un corpo sano”.
Correva i cento metri in undici secondi e due, prima dello schianto.
A un centometrista si sente simile ancora oggi: “Un poeta brucia tutto su una singola pagina. Ma la poesia cerca una sua durata nel tempo”.
E’ questo che fa dei versi una tendenza contraria ai fenomeni di un’epoca in cui il “rullo compressore mediatico” asservisce la parola alla comunicazione: “Sfiorisce in bocca appena pronunciata. Se noi oggi diciamo qualcosa e domani possiamo smentirla – continua Cappello – la parola finisce per essere un guscio svuotato. Il poeta cerca di riempire quel vuoto”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/12...appello/190821/
Mondimi me, che par volê florî
di flôr in flôr florint soi deventât
ramaç no in flôr nì niçulât da l’aiar:
libare tu, Domine mê, la mê
libertât, metimi dentri tai vôi
la lûs tenare e garbe de to piel di vencjâr:
l’amôr al è cuant che i miei deits
a tocjâti a deventin
la ponte dai tiei.
Mondami, che per voler fiorire di fiore in fiore, fiorendo sono diventato un ramo senza fiore, né mosso dal vento: libera tu, Domine, la mia libertà, mettimi dentro gli occhi la luce tenera e aspra della tua pelle di vinco: l’amore è quando le mie dita a toccarti diventano la punta delle tue.
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