Donne e Storia

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marî
view post Posted on 27/5/2013, 15:33




DONNA E STORIA

La prima donna, Eva, la si vede germinare dal corpo di Adamo.

L’abbiamo imparato già dai primi nostri anni alle lezioni di religione, sia a Scuola che in Chiesa.

Eva è la derivazione, l’oggetto governato dal soggetto, cioè Adamo, che è l’uomo.

Tale rappresentazione ha con certezza suggestionato, ancora oggi, la preparazione degli occidentali e fa si che la donna debba adattarsi ai bisogni del maschio (sessualità, procreazione etc.).

Altra figura raccontata, accanto ad Adamo, è Lilith che secondo il folclore mesopotamico era la donna che comminava (imponeva) il suo fisico all’uomo, in questo caso è lei il soggetto, ed è proprio per tale atteggiamento che venne allontanata e rimpiazzata da Eva, la quale doveva essere in grado di prolificare.

Lilith, discinta, è la signora degli animali.

Una figura diabolica che raffigura il male e si colloca al di fuori del divino favorendo la sregolatezza.

Nella vita micenea (età del bronzo 1700 a.C.), secondo quanto si può ricavare dalle odi omeriche, la donna, pur asservita all'influenza dello sposo, era rispettata e beneficiava di una autonomia inconcepibile nell'epoca seguente.

La sua regolare sorte era la vita coniugale, riscuoteva dal genitore un corredo e un compagno che non poteva respingere.

L’accordo nunziale anticipava che il marito le portasse un regalo, che ella avrebbe potuto portare con sé nel nuovo nucleo familiare.

Il suo fondamentale compito era quello di badare al buon svolgimento della vita casereccia, sorvegliare le prestazioni delle serve, nutrire la prole e badare alla loro formazione nei primi anni di vita.

Beneficiava anche di molta libertà e poteva allontanarsi da casa a condizione fosse scortata da una domestica.

Nella remota Grecia la diversità nella preparazione delle giovani spartane e ateniesi è esplicativa:

A Sparta (distrutta nel 1200 a.C. come gran parte delle città micenee) si dava molta rilevanza alla cultura fisica e morale, che era completamente amministrata dallo Stato a iniziare dal settimo anno di età e delegata ad un soggetto appropriato: i maschi venivano allenati in tutte quelle mansioni agonistiche di gruppo che dovevano farli diventare degli energici guerrieri, lo scritto veniva appreso per la sua utilità, ma le lettere e l'arte non avevano un ruolo nel cammino didattico atteso dallo Stato, la danza e il canto erano però giudicati occasioni necessari nella preparazione. Anche la formazione delle giovani donne era assistita con attenzione.

Le femmine spartane non erano confinate tra le mura domestiche come le ateniesi e la ginnastica era considerata fondamentale nella loro educazione: esercitavano la corsa, la lotta, il salto, il lancio del disco e del giavellotto, perché il loro fisico doveva essere in grado di sopportare le difficoltà del parto e dare una prole robusta alla Patria.

A differenza dei loro fratelli e amici maschi non venivano, però, avviate in gruppi di allenamento e rimanevano nelle loro case.

La loro autonomia nell’abbigliarsi è menzionata con vergogna da autori di altre città, ma venivano stimate e richieste dappertutto e come nutrici robuste ed energiche.

Contrariamente gli abitanti di Atene (Fu la prima città del mondo ad adottare una forma di governo democratico storicamente accertata) non erano allenati all'uso delle armi e la loro preparazione era morale, culturale e politica.

Era destinata solamente ai maschi, poiché le femmine non erano stimate come parte della popolazione e non intervenivano alla vita politica.

Subivano di conseguenza un insegnamento ridotto, di cui facevano parte le conoscenze basilari del leggere, scrivere e far di conto.

Larga area era riservata alla musica, che era giudicata l'arte principale per tutto il popolo greco.

Più avanti, nel periodo ellenico (323 a.C.-528 d.C.), molte donne toccarono altezze di formazione intellettuale considerevoli: ad Atene e ad Alessandria aumentarono le università, che venivano sovvenzionate dall'impero macedone, poi da quello egizio e infine dai romani.

Questi centri di cultura superarono diversi secoli, generarono programmazioni scientifiche di notevole importanza (Euclide, Apollonio, Eratostene, Archimede) ed erano aperti alla frequenza e alla docenza femminile ( Ipazia (370 - 415 d.C.).

Nel VI sec. a.C., nell’epoca di Confucio, vi era una concezione dell’umanità in cui uomini e donne avevano compiti ben definiti, e dove la figura femminile doveva ubbidire alla figura maschile legalizzata, applicandosi nel capire quale fosse il proprio spazio nel mondo, esprimersi brevemente e con cautela, effettuare instancabilmente i lavori di casa ed essere amabile col coniuge.

A iniziare dal quarto anno di età, le bimbe non dovevano più ridere, correre, schiamazzare; i loro piedi venivano legati e fasciati fin dalla nascita e, incedendo con sofferenza e sacrificio, diventavano rassegnate.

In base al loro pensiero, per alimentare l’assetto nello spazio, era essenziale che il maschio (il Sole) apparisse fonte attiva e la femmina (la Luna) fosse come fonte passiva.

In Etruria (Era una regione antica dell'Italia centrale, la settima tra le regioni dell'Italia augustea, che comprendeva la Toscana, parte dell'Umbria occidentale fino al fiume Tevere, il Lazio settentrionale fino a Roma e i territori attualmente liguri a sud del fiume Magra), da quanto si apprende dalle immagini di coppie di coniugi sui loculi, che l'archeologia, scienza ausiliaria della storia, ci ha trasmesso, si può prendere in considerazione che la collettività etrusca apprezzasse molto, la figura femminile e l’unione matrimoniale.

La donna nel periodo romano ricevetti maggiori benefici a differenza di quella greca: ella esercitò da sempre una mansione notevole all’interno del nucleo famigliare, non solo come madre e vigilante della casa, ma di frequente pure come intima amica e ispiratrice dello sposo, ricevette, inoltre, una preparazione adeguata.

Tuttavia anche qui era assoggettata al potere maritale.

Nel continuare in questo nostro viaggio storico, scopriamo come l’Artemide di Efeso sceglie di negare il proprio corpo al maschio per farne quello che vuole.

E, ancora, Athena, Hestia e Artemis il terzetto delle dee illibate che recepiscono la castità come preferenza mistica e non impiegano il corpo per far godere il maschio.

Questo è quello che ci forniscono le immagini nell’arte, perché se approfondiamo la quotidianità pubblica della figura femminile ellenica del periodo vediamo che gestivano il loro corpo con molta rigidità.

Alle dee era accordato, alle umane no.

Come dimostrazione la ‘Venere di Milo’, divinità della bellezza che dispone del suo corpo, cosa inspiegabile in una società fortemente disciplinata sotto il profilo sessuale (A proposito di statue greche è che esse erano colorate e non gelidamente bianche come le vediamo ai giorni nostri nei Musei. Purtroppo, col passare dei secoli, esse hanno perduto la parte superficiale del loro rivestimento, infatti le statue femminili soprattutto, venivano cosparse di una speciale cera di colore delicatamente ambrato, che, nelle intenzioni degli Artisti, doveva imitare quello dell’ epidermide dorata dal sole e faceva contrasto con il colore vivace delle vesti. Anche gli occhi, i capelli e le labbra delle statue, sia maschili che femminili, mediante del colore, acquistavano un particolare risalto.)

Proseguendo nella panoramica di modelli riconoscibili nell’arte, ecco la Medusa del Caravaggio (Michelangelo Merisi da Caravaggio 1571-1610), una creatura mostruosa portatrice di morte: la sua bocca era armata da denti lunghissimi come zanne di cinghiale; i capelli, da morbidi e lunghissimi, era un groviglio di serpenti velenosi; le mani e i piedi di bronzo, avevano artigli da leone, lunghi e affilati.

Il suo sguardo aveva il potere di trasformare in pietra chi lo avesse incrociato e quindi provocava timore sia ai mortali che agli immortali.

Pure il sangue di Medusa aveva facoltà magiche: quello fluito dalla vena sinistra era un veleno mortale, mentre quello della vena destra richiamava in vita i morti e la proprietà di un suo ricciolo poteva garantire il trionfo sui nemici.

Con l’avanzare del tempo, la forma femminile acquisisce nuove caratteristiche sino ad approdare al famoso affresco del Giorgione (Giorgio Gasparini o Zorzi da Castelfranco 1470-1510) , “La vecchia” dove risalta per la prima volta un avvertimento :

A partire dal Medioevo, pur non essendo ancora arrivati al disconoscimento del corpo femminile, si ritrovano portamenti femminili remissivi, capo chino e sguardo verso il basso, come dimostrano: San Bernardino da Siena, il Corano e la cultura cinese, ma pure personalità come le suore e le donne col burka.

L'arrivo del Cristianesimo (I secolo), non muta la situazione secondo il diritto per la donna, pur destinandole una parte indispensabile in seno al nucleo familiare che viene a rafforzarsi come essenza vitale della vita sociale, l’ubbidienza al marito é ancora in vigore; ma non esiste più la vergogna del ripudio.

Nella credenza cristiana il corpo è percepito come un impedimento al compimento mistico per cui va coperto e la stessa cosa dicasi per la donna che indossa il burqa.

Basta vedere il contenuto dell’Annunciazione nel dipinto dell’ Annunciata di Antonello da Messina (Antonio di Giovanni de Antonio 1430-1479) e le donne con il burqa per notare come il velo descriva la semplicità e l’ubbidienza.

Con la comparsa dei Longobardi (II e VI secolo) la donna si trasforma in diventa oggetto per l’uomo d’arme ed è soggetta alla sorveglianza (mundio o mundeburdio) del padre o del fratello, cambiando di proprietà dopo le nozze; queste erano regolate e stabilite senza il consenso della giovane e accettate allo stesso modo d’un atto di compravendita.

Nel IV secolo debuttarono i movimenti dello spirito femminili e si confermava una nuova figurazione della donna di fianco a quella classica di madre e di moglie: la donna pura che nella prima età medioevale, ha generato parecchie strutture religiose.

Nel Medioevo europeo il pensiero assume svariati aspetti: Prima del commercio della carta dalla Cina, i volumi in cartapecora erano manufatti dispendiosi e introvabili, e la comprensione nel leggere e nello scrivere, contenuta e circoscritta ad una determinata sfera di individui.

Proprio per questa causa non vi era ordine tra la preparazione scritta e quella orale.

La maggior parte delle donne si spostava nel campo d’una conoscenza verbale, comunque questo non indica che la donna in genere non avesse possibilità di leggere e le circostanze per poter leggere a voce alta in compagnia erano consistenti.

Nell'età cortese o cavalleresca, malgrado l’ideale galante, il livello della donna non fu soggetto a notevoli cambiamenti. I regolamenti comunali, poi, ne ridussero i diritti ereditari e solo in avanzata epoca comunale, si nota una percepibile crescita della donna in campo intellettuale e sociale.

E’ in questa epoca che si hanno splendide figure femminili come Chiara di Assisi (1193-1253) e Caterina da Siena (1347-1380) a Vittoria Colonna (1490-1547) e Giulia Gonzaga (1513-1566). Ma secondo il diritto il suo stato sociale resta costante, esasperandosi nell'era seguente perché sottomessa da una opprimente rigidezza controriformista che la tolse dalla formazione intellettuale e la confinò a compiti prettamente casalinghi.

La fondamentale preparazione, per lo meno nelle metropoli, era assicurata sia alla donna che all’uomo.

Esistevano edifici scolastici, comunali, privati ed ecclesiastici in cui si istruiva l’essere umano a leggere, scrivere e far di conto.
La condizione intellettuale delle donne medievali viene dimostrata, nell’iconografia sacra, nel momento in cui compare un libro tra le mani della vergine ritratta.

Altre donne che citiamo sono: Christine de Pizan (1363-1434), con la sua opera più celebre ‘La cité des Dames’, Isotta Nogarola (1418-1466), che in diverse scritture disquisì sul principio di subordinazione femminile in base alle sacre scritture, Cassandra Fedele (1465-1558), che insegnò presso le Università di Venezia e di Padova, Laura Cereta (1469-1499) di Brescia, autrice anche di lavori sdi satira.

Rievochiamo, inoltre, Olimpia Morata (1526-1555) ferrarese, e, ancora, Vittoria Colonna (1490-1547), che faceva parte del gruppo di intellettuali frequentato da Michelangelo Buonarroti (1475-1564 Scultore, pittore, architetto e poeta italiano. Protagonista del Rinascimento italiano)

Sicuramente venivano ammesse nell’ordine delle persone di cultura solo se avevano un comportamento irreprensibile, e non avere famiglia in quanto il legame con il sapere non ammetteva altri affetti e per ultimo avevano l’obbligo di sconfessare la loro indole femminile.

Successivamente alla riforma protestante e alla controriforma cattolica incominciarono a tracciarsi degli inter particolari e disgiunti di preparazione femminile, tanto è vero che a partire dal sedicesimo secolo l’educazione si modifica di più in base al sesso che alla progenie.

Questo successe per la coesistenza di più motivi: nei territori protestanti furono sigillati i monasteri per cui la donna non ebbe più la possibilità di apprendere, e quindi non fu più disponibile questo tipo di risorsa per l'istruzione femminile, opportunamente le comunità religiose degli stati credenti mutarono a fondo con la diffusione della clausura ad opera del Concilio di Trento (1545-1563).

Con un simile criterio non era più consentito, per le religiose, essere libere e autonome; infatti le porte delle celle dovevano rimanere aperte, vennero designate delle ascoltatrici durante le conversazioni e delle cercatrici che perlustravano tutti gli ambienti accessibili alla ricerca di testi e oggetti equivoci.

Fu allora che si fondarono nuovi gruppi religiosi indirizzati particolarmente ala formazione femminile e alla sorveglianza delle giovinette.

Una delle prime fu la Compagnia di Sant'Orsola fondata a Brescia da Angela Merici (1474-1540) nel 1535, in seguito chiamata delle Orsoline, influente presenza nel mondo dell'istruzione in tutta l’Europa praticante.

Vent'anni dopo sorse il Collegio della Guastalla avviato a Milano da Ludovica Torelli (1500-1569) per assicurare la preparazione delle aristocratiche cadute in rovina; a Vicenza lavorarono le Dimesse Figlie di Maria Immacolata fondate nel 1579 , con il nome di “Compagnia delle Dimesse” o “Compagnia della Madonna”, da Padre Antonio Pagani, frate francescano minore.

Non mancarono le confraternite femminili a sostegno delle giovani donne dimesse che venivano radunate nei conservatori per salvaguardarle e creare loro un corredo che ottenevano lavorando dalle quattordici alle sedici ore al giorno.

Nel 1578 a Milano furono avviate le Stelline, che riunivano le orfane, mentre l’equivalente maschile, i Martinit, erano attivi già dal 1530.

Tuttavia dobbiamo attendere il diciottesimo secolo perché si avverta un tenue accenno favorevole per la realizzazione culturale della donna insinuarsi nel quotidiano della collettività e mentre essa si avvia verso la conoscenza, le grandi rivoluzioni francese e americana la conducono all’approvazione dei diritti civili ma non quelli politici.

Ciò nonostante, il codice napoleonico (1804), conferma la parità di diritto della donna non sposata, all'interno del nucleo familiare, ma , reintegra la piena dipendenza dal marito.

Durante la metà del diciannovesimo secolo incominciano a realizzarsi i primi reali progressi nel sociale.

La raccolta di leggi del 1865 convalida il passaggio della dote a passare da un seggetto ad un altro, lo scambio delle responsabilità relative all’economia tra marito e moglie e l’essere responsabile nei confronti dei figli insieme all’altro genitore e, infine, ottiene l'accesso agli studi superiori, in Italia la prima donna si è laureata nel 1877.

Negli Stati Uniti una legge del 1840 dava alla donna coniugata la piena libertà sui suoi guadagni e dei suoi beni personali. In Italia una legge simile venne emanata solo nel 1919.

Nel frattempo allo scoppio della Prima Guerra Mondiale (tra l'estate del 1914 e la fine del 1918), in dodici stati della Confederazione americana la donna ottenne l’ammissione al diritto politico; qualche tempo dopo stesso riconoscimento fu concesso anche dalla Danimarca, Paesi Bassi, URSS e Islanda; nel 1918 lo accolse la Gran Bretagna, che privilegia di tale diritto la donna solo se ha compiuto i trent'anni.

Nell’intervallo fra le due guerre sia in America che nel resto d'Europa veniva approvato anche il diritto di voto, in Italia si dovrà attendere il 1945.

Nel 1956, la figura femminile, viene introdotta nelle Corti d'assise e nei Tribunali dei minorenni, come giudice popolare; nel 1960 conquista il libero accesso a tutte le cariche pubbliche, tranne quelle dell’esercito e diplomatiche; la completa parità giuridica nel lavoro viene raggiunta nel 1962 e solamente nel 1977 una riforma generale sopprime ogni squilibrio, mentre si deve arrivare al 1979 per avere una donna ambasciatrice e presidente della Camera dei Deputati.

La figura della casalinga come ‘nostra nonna’, che tutto donava alla famiglia, che esisteva solo per la famiglia va dissolvendosi, la sua posizione viene occupata da una figura femminile nuova che ha numerosi coinvolgimenti oltre quelli di casa.

A questa recente nuova visione della donna, se ne inserisce un’altra, intollerabile ma pur manifestazione di cultura velata ed è la dei genitali.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità conta che nel nostro tempo vi siano 140 milioni di creature che vivono con le ripercussioni di queste asportazioni violente e che annualmente se ne sommano circa altri tre milioni.

Si potrebbe immaginare, che azioni così primitive e quasi certamente insediate in civiltà di tipo desueto che si sono protratte nel tempo, nutrendo una collettività di stampo patriarcale maschilista, si concluderanno arrivando a contatto con gruppi dove la stabilità tra donna e uomo può definirsi in qualche modo realizzata.
 
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