Le figure femminili Mondo

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marî
view post Posted on 18/11/2012, 09:30 by: marî





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http://www.corriere.it/cultura/10_aprile_1...44f02aabe.shtml



Il Femminismo italiano negli anni ’70-‘80



La donna del XXI secolo non può che rappresentare la sintesi di un processo dialettico, la cui origine coincide necessariamente con l’origine stessa della storia.

La tenacia, il carisma che almeno in prima istanza la caratterizzano (la donna del XXI secolo) sono il frutto dell’evoluzione dell’eredità che essa ha raccolto dalle sue antenate.

Senza dubbio, almeno credo che per le mie coetanee sia così, un rapporto privilegiato permane con le donne dell’ultima generazione, le grandi protagoniste dell’ “eroico” movimento femminista degli anni ’70 e degli anni ’80.

Esso, oltre ad essere stato un movimento strettamente politico, stadio rilevante del processo di emancipazione femminile, cifra fondamentale della storia del XX secolo, è soprattutto la manifestazione della rivendicazione, da parte della donna, della possibilità di autodefinirsi, con il suo modo particolare di essere, di esprimersi, di comunicare: nel lavoro, nelle opere, nella partecipazione attiva e responsabile alla vita sociale, alle lotte comuni; con le sue particolari attitudini, scelte, decisioni; senza mai rinnegare sé stessa, la propria specificità di donna, l’alto valore della maternità, anzi esaltandoli.

E soprattutto respingendo fermamente ogni nuova mistificazione, ogni concessione a mutevoli, effimere mode, ad aberranti enunciazioni.

Dalla natura e misura del suo stesso conoscersi, mostrarsi, definirsi, deriverà la natura e la misura della sua libertà e dignità: anche nel rapporto uomo-donna, che ciascuno dei due deve vivere in modo personale, nella propria completezza, originalità e differenza di persona umana.

La donna deve essere sé stessa, smentendo anche errate attribuzioni: fragilità, sentimentalismo, incapacità di ragionamento, di deduzione e di sintesi.

Ho tentato di esporre organicamente e rapidamente alcune delle tesi fondamentali su cui è impostata la teoria femminista, se tale può essere definita.

Si tratta, però, di un femminismo decisamente maturo, autentico interprete, a mio avviso, della potenza umana femminile.

Ricordo infatti (con rapidi cenni) che il neonato movimento femminista degli anni ’70 si presentava di fatto come una filiazione del movimento di protesta sessantottino, che conobbe un’ingente partecipazione femminile, essenzialmente studentesca.

In Italia sorse a Milano, a Roma, per diffondersi in breve tempo nel resto del paese.



L’ispirazione giungeva da ampie manifestazioni di neofemministe negli Stati Uniti d’America.

In Italia si costituì in gruppi diversi, portavoce di una particolare concezione dell’emancipazione femminile.



Le protagoniste erano donne di varia estrazione sociale, soprattutto appartenenti alla piccola e media borghesia, intellettuali, professioniste.

Coinvolge ragazze e donne tra i diciotto ed i trent’anni: madri, mogli, studentesse etc., deluse spesso dal ruolo subalterno cui erano state relegate all’interno delle assemblee, dei collettivi, dei cortei organizzati durante le agitazionie e le proteste degli anni 1968-1969 (ovviamente le tensioni che maturavano erano anche più profonde, di carattere meno contingente, radicate nel passato).

Il linguaggio, gli slogan, il comportamento nelle proteste femministe manifestavano un ribellismo disgregato e un certo semplicismo, che la lotta e le esperienze progressivamente acquisite potranno in seguito correggere.

È una modalità acerba di comunicazione di un messaggio potente.



In ogni caso la riflessione sul tema della liberazione dall’oppressione di una società maschilista si esplicava anche in pratiche di organizzazione originali, che valorizzavano la peculiare autonomia e vivacità interiore della donna: riunioni, gruppi di autocoscienza, cortei per l’8 marzo, picchettaggi di sale cinematografiche che proiettano film pornografici.

Non si può pertanto non riconoscere alle neofemministe italiane il merito di aver avuto il coraggio, la capacità di esternare un lato di determinazione, ponendo la società contemporanea di fronte alla specificità della questione femminile, avviando un dibattito serrato sui temi, sino ad allora considerati implicitamente “taboo”, della corporeità e della fisiologia femminile, con particolare riferimento al problema della contraccezione, dell’aborto, delle mestruazioni, della gravidanza, del parto, della maternità.

Inoltre il loro modo di agire e di proporsi ha mostrato che tale lotta non poteva essere tacitata con pseudoriforme o palliativi.

Hanno esternato la loro carica rivoluzionaria, minacciando gli equilibri politici ed i compromessi storici.



Queste peculiarità del femminismo dei primi anni ’70 si riscontrano in maniera evidente nel manifesto del movimento femminista del luglio del 1970, pubblicato sul giornale propagandistico “Rivolta Femminile” (autrice Carla Lonzi):

1. “La donna non va definita in rapporto all’uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà. L’uomo non è il modello a cui adeguare il processo di scoperta di sé da parte della donna. La donna è altro rispetto all’uomo. L’uomo è altro rispetto alla donna.”

2. “Verginità, castità, fedeltà, non sono virtù, ma vincoli per costruire e mantenere la famiglia.”

3. “Nel matrimonio la donna, privata del suo nome, perde la sua identità significando il passaggio di proprietà che è avvenuto tra il padre di lei e il marito.”

4. “Riconosciamo nel matrimonio l’istituzione che ha subordinato la donna al destino maschile. Siamo contro il matrimonio.”

5. “La trasmissione della vita, il rispetto della vita, il senso della vita sono esperienza intensa della donna e valori che lei rivendica.”

6. “La negazione della libertà d’aborto rientra nel veto globale che viene fatto all’autonomia della donna.”

7. “Accogliamo la libera sessualità in tutte le sue forme, perché abbiamo smesso di considerare la frigidità un’alternativa onorevole.”

8. “Comunichiamo solo con donne.”

Come si evince da alcune asserzioni si tratta di un movimento di transizione tra quello che viene definito talora “femminismo liberale” e il cosiddetto “femminismo culturale”.



Il comune denominatore è l’atteggiamento energico, determinato, ma mentre il primo si batte fondamentalmente per l’uguaglianza formale e predica la simmetria fra i sessi, il secondo muove dalle peculiarità morali della donna e afferma la differenza femminile come valore.

Dal primo modello eredita l’aggressività nella rivendicazione di determinati diritti civili e politici, che ha condotto ad importanti conquiste, tra le quali:

Ø La possibilità di accesso a tutte le professioni;

Ø L’istituzione del nuovo diritto di famiglia, che introduce il principio di parità fra i coniugi, con l’eliminazione della figura del “capofamiglia”, la sostituzione della “patria potestà” con la “potestà parentale, la cessazione dell’obbligo per la moglie di fissare la propria residenza secondo gli intendimenti del marito, l’eliminazione del “diritto di correzione” del coniuge maschio;

Ø La cancellazione del codice penale di istituti arcaici come il delitto d’onore;

Ø L’introduzione delle leggi sul divorzio, sull’aborto e sulla violenza sessuale (catalogata finalmente tra i delitti contro la persona, non più contro la morale);

Ø Il controllo da parte di gruppi femministi e dell’opinione pubblica sulla gestione dei processi per stupro della magistratura, per garantire il rispetto della vittima nel corso del dibattimento;

Con il secondo modello invece condivide la necessità di affermare la liberazione della donna attraverso l’elaborazione di una “controcultura” femminile (cfr. punto 8).



Dal 1976-1977, momento in cui l’onda alta del movimento rifluiva, si avviò una riflessione sulla specificità della condizione femminile, che andava a ricercarne le cause più a fondo rispetto al contesto economico, sociale e politico.

A testimonianza del raggiungimento di un grado di forza e consapevolezza superiori, il femminismo italiano tende a liberarsi dagli estremismi e dai velleitarismi, da atteggiamenti radicaloidi.



La donna orienta ora il proprio carisma e vigore intellettuale in direzione di obiettivi di più ampia portata.

Non si tratta di un’effettiva rinnegazione degli ideali e degli stimoli precedenti; lo definirei piuttosto una sorta di “aufhebung” hegeliano, un superamento dialettico.

La potenza femminile consta ora nella consapevolezza di ciascuna donna della propria identità, sia sessuale che sociale.



Il facsicolo speciale di “Sottosopra”, mensile di propaganda femminista, uscito nel gennaio del 1983, chiarisce alcuni fondamentali nodi cocettuali attraverso il bilancio di un’esperienza che si protrae ormai da più di dieci anni e soprattutto attraverso l’individuazione e l’aperta denuncia dell’origine reale del disagio femminile, delle debolezze della donna.

Ciò che ne deriva è un appello diretto alle donne, ma forse alla società nel suo complesso, appello in cui si legge una lucida audacia ed un’assoluta determinazione.

Punto di partenza è il riconoscimento del fatto che “la lotta emancipatoria sorvola, senza vederle, sulle energie bloccate dal senso di una propria irriducibile estraneità”, che “c’è un limite al processo di emancipazione, limite che può manifestarsi solo molto tardi, ma che è presente fin dall’inizio”, che “pensarci e presentarci come vittime di discriminazione antifemminile non significa più l’essenziale della nostra condizione”.

Sono le parole di donne pronte a rivoluzionare sia la propria realtà intima e soggettiva sia gli schemi tradizionali di una società all’interno della quale “l’essere donna, con la sua esperienza e i suoi desideri, non ha luogo”, poiché essa “è modellata dal desiderio e dall’essere corpo di uomo”.

La diretta conseguenza di tale assetto sociale è che “la voglia di vincere, quando non si fa intimidire, diventa inevitabilmente aspirazione virile…Ma la donna ci perde il corpo”.

Pertanto il movimento delle donne è “un punto di riferimento per diventare quello che siamo e volere quello che vogliamo”.

Ciò che si propongono di fare è alterare radicalmente gli equilibri di una società “mutilata e mutilante”, dal momento che “il mondo è uno solo, abitato da donne, come da uomini, bambini, bestie e cose varie, viventi o non viventi, e in questo mondo che è uno solo vogliamo stare con agio”.

Queste donne si sono rivelate perfettamente in grado di osare, creando così “un precedente di forza” che costituisce uno fra i doni più grandi e preziosi che la donna di oggi abbia ricevuto.



È la corrente femminista che in Italia ha avuto uno straordinario successo fra le intellettuali, soprattutto fra le filosofe, per l’influsso dell’opera della psicoanalista Luce Irigaray, “Speculum” (1974), in cui della donna e della sua sessualità si parla senza definirla, senza concluderla, contro tutte le pratiche e le ideologie che dagli inizi del pensiero occidentale hanno ridotto il suo corpo al silenzio, all’uniformità, alla soggezione.

Lo scontro con le ideologie occidentali, di impianto maschilista, è stato fin dagli esordi, dal 1970, un nodo cruciale da sciogliere.

Nonostante ciò la relazione, il rapporto con la cultura si modifica sostanzialmente: dal rifiuto propugnato dalle femministe degli anni ’70 (cfr. punto 8) sino alla ricerca alla ricerca di un confronto –scontro, con specifici orientamenti culturali.

Particolarmente rilevante è il serrato dibattito tra i gruppi femministi e gli esponenti della corrente filosofico-sociale marxista.



www.liceofoscolo.it/materiale/dangelo/la%20donna.htm



 
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