Scrivere, scrivere e scrivere

« Older   Newer »
  Share  
marî
view post Posted on 9/4/2012, 12:34





Cagnolino_Simpatico



Scrivere poesie non è un arte d'elite o una competenza alla portata di pochi, è, invece, una modalità espressiva alla portata di tutti una volta compreso il suo segreto.

Il segreto è l'abbraccio, il calore, il colore, l'allargamento degli orizzonti, prima di tutto interiori.

Il segreto è oltrepassare i limiti che questa nostra cultura sembra imporci di rimanere focalizzati solo sul linguaggio della mente, sulla sfera razionale, sul rigore mentale e la logica stringente.

La poesia irrompe in questo spazio coerente e ordinato con immagini che esulano dalle regole del linguaggio quotidiano per richiamare in primo piano emozioni, sensazioni, sogni, speranze, ideali, passioni, desideri, speranze, timori, aspettative, intuizioni, aneliti, ideali, gioie, dolori... tutto quello che non trova mai spazio nelle conversazioni formali con amici e colleghi e quindi che non trova mai spazi per uscire.

"Hai molto dentro di te, perché non lo getti fuori?" si dice Walt Withman, ma il suo è un appello valido per ognuno di noi.

E come "gettarlo fuori"?

La poesia è uno dei modi.

La poesia rompe le regole non scritte e ingenuamente pensate invalicabili, spalanca le porte del possibile e allarga immensamente l'attenzione e la sensibilità oltre confini mai esplorati.

La poesia ci rende consapevoli che il mondo è molto più grande di quello che ci hanno insegnato a percepire e che possiamo inventarlo e reinventarlo in ogni momento, semplicemente decidendo da quale parte guardarlo e farlo guardare.

La poesia è rivoluzionaria, perché mette in gioco l'ordine costituito, facendo intravedere nuove possibili letture della realtà.

Sempre e comunque.

Non occorre quindi, essere poeti per scrivere poesie, occorre scoprirsi - e "coltivarsi" - attenti, sensibili, creativi e spiritosi.

Scrivere poesia vuol dire utilizzare la lingua in modo creativo, giocando con i legami di senso e di suono tra le parole, esprimendo sentimenti e percezioni attraverso le parole, giocando a scombinare i nessi logici tra le parole.

La regola è che non ci sono regole.

E, quando ci sono, diventa parte del gioco sapere di avere la libertà di seguirle oppure di romperle.

Scrivere in rima o in terzine o quartine, per esempio, anche se limitante, può essere molto stimolante per la creatività, ma il momento in cui... lo spazio disponibile non basta più, si può sempre "cambiare gioco" e cercare la forma che meglio si adatti al contenuto interiore che vuole uscire fuori.

Le poesie non le scriviamo per gli altri, le scriviamo per noi.

Ed è un gesto di grande intimità condividerle, espressione del desiderio di farsi conoscere e riconoscere per ciò che si è, tutti interi e non solo al facciata che gli altri sono abituati a vedere.

Se scrivere poesie è un momento dedicato a noi stessi e farle leggere è allo stesso tempo un dono per gli altri e una affermazione di interezza e autenticità per sé.

Qualche spunto per vincere le resistenze e cominciare a giocare con le parole, preludio per poi... scrivere le proprie poesie:

Inventario: fare un elenco di "immagini" riferiti a stagioni, persone, momento del giorno, eventi, valori.

Identificazione: scegliere una parola, un animale, un elemento della natura con cui si sente un legame particolare.

Identificarvisi e parlare da quel particolare punto di vista.

Definizione: focalizzarsi su un tema, un valore, una parola, scrivere di seguito aggettivi o parole che lo descrivono e concludere con un paragone.

Associazione: come il precedente, ma spaziare liberamente, con associazioni libere, nella scelta delle parole e aggettivi da riferire al tema di partenza.

Ricordo: elencare i ricordi più vivi relativi a una persona, un luogo, un periodo ecc.

Anafora: iniziare ogni strofa con le stesse parole.

Acrostico: scrivere dei versi che inizino ognuno con una lettera di un nome.

Elenco: fare una lista di oggetti, situazioni, pensieri ed emozioni legate a un luogo o un evento.

Definizione del sentimento: a partire da una emozione o sentimento elencare tutto ciò che richiama in noi (come pensieri e immagini) o tutti i modi in cui si manifesta (sensazione fisica, percezioni sensoriali).

Biografia: elencare brevissime riflessioni su "ciò che sono", "ciò che vorrei essere", "ciò che posso diventare".

Inventario: elencare tutti ciò che si ha di prezioso (naturalmente, non solo in senso materiale).

Metafora: descrivere oggetti o situazioni usando altre immagini che li ricordano.

Haiku: prendere spunto dall'osservazione della natura, come nei brevi componimenti giapponesi (4-6 versi), esprimendo le sensazioni che questa ci suscita.

Macedonia poetica: fotocopiare versi di poesie note, tagliarli a fettine e ricomporli a piacere.

(da web)

 
Top
marî
view post Posted on 9/4/2012, 14:09





poesia



La poesia è un potente mezzo di comunicazione, mediante il quale si raccontano momenti di vita vissuta, si evocano emozioni, sensazioni, stati d’animo.

Fare poesia è un modo diverso di vedere la realtà, significa sapersi metter in relazione con se stessi e “ascoltarsi”

Il linguaggio poetico è una forma espressiva particolare, che ha una sua specificità: permette di giocare con le parole e per questo è creativo e ha qualcosa di magico.

E’ quindi un linguaggio molto vicino ai bambini che, di solito, ne restano affascinati.

Attraverso la poesia i bambini possono scoprire che si può “manipolare” il linguaggio, usando regole diverse da quelle del linguaggio quotidiano, creando nuove parole o nuovi inusuali accostamenti.

I bambini hanno già sicuramente incontrato testi poetici.

La ninna nanna cantata dalla nonna, le filastrocche per fare il girotondo, le conte per giocare, le poesie imparate in occasione di qualche ricorrenza, il testo di una canzone, una favola in poesia.

Da qui si partirà per compiere il primo passo :

far emergere l’idea di poesia che i bambini già possiedono.

Per permettere ai bambini di giocare a fare poesia si può, infatti proporre un laboratorio di scrittura poetica.

Per attivare l’iniziativa non sarà necessario uno spazio fisico ben preciso, ma sarà invece fondamentale lavorare sul clima e cioè…..

- Creare un ambiente sereno in cui ogni bambino si senta ascoltato

- Creare un clima di rispetto reciproco e di amicizia

- Creare un’atmosfera divertente

- Creare situazioni motivanti

- Proporre temi vicini ai bisogni

- Stimolare l’osservazione

- Fare vivere esperienze significative

- Fare riemergere il ricordo

- Stimolare l’immaginazione

- Stimolare il confronto

- Favorire la scoperta di nuove parole

- Proporre esempi

- Proporre ogni attività come qualcosa di nuovo incoraggiare i bambini a lasciasi andare

- Proporre, invitare ma non sostituirsi

- Evitare di insegnare tecniche determinanti

- Cercare di non porre troppi ostacoli

- Non correggere gli eventuali errori come in una prova di verifica, ma capire

- Non ridicolizzare ciò che hanno prodotto

- Non censurare

- Gratificare sempre i bambini

- Proporre le attività sempre con entusiasmo, catturare l’attenzione e stimolare la voglia a giocare con le parole e il piacere di creare.

Infatti, attraverso un’impostazione metodologica che valorizzi il divertimento si garantirà un approccio positivo.

(da web)

 
Top
marî
view post Posted on 9/4/2012, 15:04




poesia



IL CANTO DI EMERGENZA
di Giulia Rusconi

Con questa lingua aerea
che non vuol farsi corpo
che non diventa dura abbastanza
per penetrarti come meriti,
puttanapoesia,
per farti inginocchiare
e dire la verità
che per essere veramente poeti
occorre un’intelligenza sovrumana.
(Antonio Porta)[1]



[1]A. Porta, Yellow, Milano, Mondadori, 2002, p. 17.

Che cos’è la poesia? La si può definire? La si può catturare, inscatolare, fissare in una forma?

Di volti, la poesia ne ha migliaia e sempre mutanti.

Variano nelle forme, nei contenuti, nel loro significato profondo, nei messaggi che portano alle nostre orecchie.

E’ questa la ricchezza della poesia, proprio il suo essere elastica e ripiegabile, spaziale ed estremamente minima.

Ma che cos’è la poesia, dunque?

220px-Celan_passphoto_1938

Una fugace, ma attenta definizione ce la fornisce proprio un poeta, uno del mestiere: Paul Celan.

Lo fa attraverso una poesia, versi che nel 1967 compone in una clinica psichiatrica nei pressi di Parigi.

A noi rimane un foglietto straccio e vagante, come un fazzoletto nel vento:



Canto d’emergenza di pensieri
nato da un sentimento,

che ha
dei nomi svegliati dal canto
non molti,

spinoso,
così, inconfondibile,
dalla macchia di duro fogliame,
sporge con loro; a te
incontro,

spinoso,

vaga
un piccolo morire.[2]




[2]P. Celan, Sotto il tiro di presagi. Poesie inedite 1948-1969, tr. it. di M. Banchetti, Torino, Einaudi, 2001, p. 163.

Celan ci dice che la Poesia è un «canto di emergenza», un bisogno armonico che lega i pensieri e il sentimento a dei nomi, alle parole quindi, che affiorano come sull’acqua dal nostro ‘dentro’, dal pulsare del nostro corpo, nomi che vengono «svegliati» in una solitudine spinosa e dura, ma che infine si aprono alla condivisione; e la Poesia viene «a te», con le sue punte aspre, regalandoti un «piccolo morire».

Essa è origine e perdita, è maga dell’elaborazione del lutto per l’abbandono dell’oggetto amato, è dunque consolazione.

Celan ci rende un quadretto geniale, una miniatura in cui condensa diversi punti cardine che girano attorno al significato di Poesia. «Non si potrebbe dire meglio, e con parole più definitive, la necessità della poesia», scrive Bertoni[3] sui versi dello scrittore francese.



[3]A. Bertoni, La poesia. Come si legge e come si scrive, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 8.


Anche altre voci, di altri autori, si aggiungono per dire la loro, per lanciare il proprio sassolino nel vasto bacino dei significati.

180px-Pablo_Neruda_Ricardo_Reyes

Ascoltiamo Pablo Neruda che, tre anni prima della lucida composizione di Celan, pubblica il Memorial de Isla Negra in cui raccoglie la storia della sua vita in versi.

Tra i tanti componimenti contenuti nello spesso volume, ne spicca uno che si intitola La poesia:


Fu a quell’età… Venne la poesia
a cercarmi. Non so, non so da dove
uscì, dall’inverno o dal fiume.
Non so come né quando,
no, non eran voci, non eran
parole, né silenzio,
ma da una strada mi chiamava,
dai rami della notte,
d’improvviso tra gli altri,
tra fuochi violenti
o ritornando solo,
era lì senza volto
e mi toccava.
[…][4]



[4]P. Neruda, Memoriale di Isla Negra, tr. it. di G. Bellini, Firenze, Passigli, 1998, p. 59, (Buenos Aires, 1964).

Neruda si sente chiamato, inseguito, scelto.

La Poesia è una ninfa incantatrice che non ha patria, non ha origine, o forse ce l’ha, ma è ignota e oscura.

Non ha voci o parole, ma non è neppure fatta di silenzi.

Ha un modo suo, solo suo, di nominare chi sceglie e chi desidera.

Neruda si sente attratto dalla strada o tra gli alberi della notte, in mezzo agli amici e alla confusione e poi, infine, anche quando è solo.

Eccola, la Poesia, se la trova finalmente di fronte: non ha un volto perché, come dicevo prima, ne ha mille e forse più, ha volti infiniti ed infinite espressioni, ma lo tocca, lo condanna, lo avvelena.



[…] è uno strano mestiere che ti cerca
e si nasconde quando lo han cercato
ed è un’ombra con il tetto rotto,
ma nei buchi ci sono le stelle.[5]



[5]Ivi, dalla poesia intitolata Panpoesia, p. 129.

Dopo averci cercati, la Poesia a volte si nasconde.

Ma c’è di più: Neruda parla di «mestiere».

Non è solo un sentimento che ci insegue, non è una nuvola di qualche pazzo che compone testi versificati, è un lavoro, un luogo sacro, ma anche impegnativo e bisogna fare sacrifici per accontentarlo e assecondarlo, per timbrare il cartellino come tutti gli impiegati e rispondere se il nostro superiore ci manda a chiamare.

Ha l’aspetto di un’ombra, un non-volto, appunto, indefinito e scuro, fuggente e sinuoso.

Non protegge perché ha «il tetto rotto», è una capanna disagiata, un colabrodo in cui si può soffrire il freddo, in cui passano gli spifferi.

Ma dalle travi mancanti non entra la pioggia, non ci si bagna, non ci si lacera: ci sono le stelle a vegliare sui poeti, ad osservarli con i loro occhietti brillantini, a inseguirli se si perdono nel vacuum che sta sulle nostre soglie.

E il poeta, nella sua casa dal tetto rotto, se ne sta con il naso in su a contemplare il cielo.

Scrive Borges:



Il destino di un poeta è abbastanza curioso.

Deve essere sensibile ad ogni cosa e il suo mestiere è quello di trasformare queste cose in parole, e le parole sono evidentemente dei simboli.[6]



[6]J. L. Borges, Testamento poetico letterario, tr. it. e a cura di A. Bertoli, Firenze-Milano, Giunti, 2004, p. 15. Il testo è tratto dalle conferenze tenute da Borges a Tokyo(aprile 1984) e a Milano (novembre 1984 e novembre-dicembre 1985) e sono le ultime parole che il poeta pronuncia in pubblico (muore infatti a Ginevra nel luglio 1986).

Il poeta quindi deve contemplare, indagare, scavare quello che ha di fronte e poi creare testi simbolici, per dire quello che ha visto, utilizzando la parola, mattone estremamente povero, quando è da solo, ma potenzialmente ricchissimo, se unito ad altri.
Si possono infatti costruire mura e poi intere case e dentro le case mettere dei tavoli, delle sedie, dei letti e, infine, delle persone che formano delle famiglie, anche molto numerose.

Questa è la poesia, è il primo mattone appoggiato sul terreno e poi è l’insieme dei mattoni, fino alla cena della domenica con la vita che si allarga.


E sulla potenziale infinità di significato che possono assumere le parole, scrive Orazio:



Il tuo linguaggio risulterà originale se un abile accostamento conferirà un suono nuovo a una parola comune.[7]

[ 7]Orazio, Arte Poetica, I, 46-48.

Ed è così che grandissimi poeti (ricordo Neruda per tutti) parlano di pane e farfalle, boschi e fiabe, fuoco e silenzio, gatti e verdure e riescono a entrare, così semplicemente, negli intimi anfratti di pena e d’amore che ci portiamo sempre appresso.

Ma la Poesia fa di più.

Scardina il linguaggio abituale portandoci direttamente in profondità.

Una riflessione importante a proposito è da fare sul concetto di significante e significato.
In un testo in prosa, il significante è solamente un veicolo del significato, un ‘mezzo di trasporto’ con il quale convenzionalmente possiamo indicare un oggetto reale. In poesia, invece, il significante «è a sua volta agente di «significanza» poiché somma alla referenzialità logica degli enunciati la forza materiale, fisica, pulsionale delle sue componenti, al fine di produrre un effetto complessivo (e naturalmente amplificato) di senso»[8].



[8]A. Bertoni, op. cit., p. 13.

Dunque, i versi creano un significato anche attraverso i suoni che li compongono e il significante assume un’importanza notevole poiché la Poesia «produce significato anche attraverso questa materialità, predisposta ad effetti ritmici e musicali di eufonia, di ripetizione di suoni, di sottolineatura e di ricomposizione a posteriori di ètimi verbali non necessariamente coincidenti o armonici rispetto alla referenzialità degli enunciati»[9].



[9]Ibid., corsivo mio.

Questo concetto si può riassumere in una sola parola: fonosimbolismo.

E’ proprio il fonosimbolismo a essere uno degli elementi portanti, se non la caratteristica cardine, del discorso poetico.

La Poesia quindi, tornando ai versi di Neruda, chiama, elegge, ci indica col dito.

Una volta accolta, diventa fatica e sudore, un «mestiere» duro e accidentato.

E riesce a mantenere un equilibro magico fra l’esplosione di sentimento senza alcuna ragione a frenarlo, l’istinto puro, e la dedizione che si deve versare su un lavoro minuzioso ed estremamente complesso.

Ecco cosa ci dice Borges sulla Poesia:


All’improvviso so che accadrà qualcosa […]


Io aspetto e talvolta qualcosa accade. “It happens”, come diceva Whistler. […]

whistler_f

Forse la più sensata affermazione sull’arte è contenuta nelle parole del pittore americano Whistler. “Art happens”, l’arte accade, cioè “l’arte avviene”. […] Non cerco di esprimermi, […] Credo che il solo modo di trovare una cosa sia quello di non cercarla. Il poeta è essenzialmente passivo: riceve, ringrazia, poi fa del suo meglio per trasformare tutto questo in parole.[10]



[10]J. L. Borges, op. cit., pp. 13, 15, 16.

Come Neruda, anche lui sostiene che l’unico modo per ricevere in dono la Poesia sia di non cercarla, ma di aspettare che sia lei ad arrivare a noi.

Come Celan, sa che il suo è un bisogno, sa che sta per avvenire qualcosa che poi, dal suo intimo, dovrà trasformare, attraverso il lavoro che il poeta è chiamato a fare, in parole.

Parole che devono avere la funzione di sassi lanciati in uno stagno, devono creare aloni attorno al loro nucleo, anelli di espansione, reti che si intrecciano con quelle formate dalle parole vicine e con quelle del verso appena sopra, appena sotto o ancora più distanti.

E la poesia intera deve avere l’aspetto di una canzone, creare un assetto armonico ed essere evocativa, portarci in terre lontanissime che nemmeno esistono o nel fondo di noi, dove ci sono voci e silenzi che nemmeno conosciamo.

E’ per questo che la parola è la più potente arma del mondo e può qualunque cosa.

… Tutto quel che vuole, sissignore, ma sono le parole che cantano, che salgono e scendono… Mi inchino dinnanzi a loro… Le amo, mi ci aggrappo, le inseguo, le mordo, le frantumo… Amo tanto le parole… Quelle inaspettate… Quelle che si aspettano golosamente, si spiano, finché ad un tratto cadono… Vocaboli amati… Brillano come pietre preziose, saltano come pesci d’argento, sono spuma, filo, metallo, rugiada…

Inseguo alcune parole… Sono tanto belle che le voglio mettere tutte nella mia poesia…

Le afferro al volo, quando se ne vanno ronzando, le catturo, le pulisco, le sguscio, le preparo davanti il piatto, le sento cristalline, vibranti, eburnee, vegetali, oleose, come frutti, come alghe, come agate, come olive… E allora le rivolto, le agito, me le bevo, me le divoro, le mastico, le vesto a festa, le libero… Le lascio come stalattiti nella mia poesia, come pezzetti di legno brunito, come carbone, come relitti di naufragio, regalo dell’onda… Tutto sta nella parola… […] Hanno ombra, trasparenza, peso, piume, capelli, hanno tutto ciò che s’andò loro aggiungendo da tanto rotolare per il fiume, da tanto trasmigrare di patria, da tanto essere radici… Sono antichissime e recentissime… Vivono nel feretro nascosto e nel fiore appena sbocciato…[11]


[11]P. Neruda, Confesso che ho vissuto, tr. it. di L. Lamberti, Torino, Einaudi, 1998, p. 68, (Santiago, 1974).

L’ode alle parole che scrive Neruda nella sua autobiografia, l’amore incondizionato che si sprigiona da questa breve pagina lirica, mi colpisce.

Il poeta cileno viaggia nell’universo dei termini e per descriverli ci gioca, li rigira, li estremizza, li sussurra, abusa di loro.

Li rende vacui e fisici, fatti d’aria e di carne, di roccia o liquidi.

Mi colpisce perché dà prova della sua forza, del controllo che possiede nei confronti della lingua.

Non ha paura delle parole, Neruda, le adotta e le ama, le usa con il cuore e con la pancia.[12]

[12]«Chi decide i versi più corti o più lunghi, più stretti o più larghi, più gialli o più rossi?

E’ il poeta che li scrive a deciderlo.

Lo determina con la sua respirazione e con il suo sangue, con la sua sapienza e la sua ignoranza, perché tutto ciò entra nel pane della poesia.», ivi, p. 348.



Ma sono una lama a doppio taglio.

Le parole che Neruda coccola possono diventare per qualcun altro distruttive e massacranti.

Il «mestiere» del poeta può risultare difficile e doloroso.

antonio-porta1


Antonio Porta ce ne dà un esempio:



Come tutto può accadere all’improvviso
così il canto si spegne schiacciato dal silenzio
all’improvviso ritorna risuona vicino
risale dalla gola fino al ventre
ma nelle pause hai perso due dita
disperato un occhio ti è caduto nel piatto.[13]



[13]A. Porta, op. cit., p. 82.

La Poesia si prende la libertà di andarsene quando meno ce lo aspettiamo; ci resta il silenzio da gestire, un silenzio che pesa perché è assenza di lirica, è ‘nulla’ e non è colmabile.

La Poesia però ritorna «all’improvviso» e, ‘nerudianamente’, dalla gola arriva al ventre, sono le viscere a dettare i versi che esplodono dal silenzio di cimitero che ci aveva costretti.

Le «pause», però, sono atroci e lasciano i segni terribili del loro passaggio, lasciano i nostri corpi malandati e sofferenti: le dita si staccano dalla mano, un occhio esce dall’orbita scivolandoci in piatto.

Nonostante le ferite, questa Poesia capricciosa viene accolta di nuovo, quasi a braccia spalancate, come un amante traditore e bugiardo che viene perdonato e riammesso nel letto nuziale.

Ma Porta riserba un rancore per le parole passeggere, per il loro essere farfalle, per il loro andare e tornare, tradire e amare, prendere e lasciare, di fiore in fiore, e allora eccolo che chiama la sua ‘emergenza’ «puttanapoesia», parola unica, rabbiosa, soffocata e durissima.

220px-Goffredo_parise


Anche Goffredo Parise ci avvisa di questa peculiarità della Poesia.

Senza rabbia, ce lo spiega nell’Avvertenza ai Sillabari[14], racconti brevi e leggeri che egli chiama «poesie in prosa».



[14]G. Parise, Sillabari; mi riferisco all’unione, dietro un’unica copertina, del Sillabario n.I che comprende i racconti dalla A alla F, e del Sillabario n.2 che riprende e si interrompe alla lettera S.

La prima raccolta viene pubblicata da Einaudi nel 1972, la seconda esce con Modadori nel 1982 e vince il Premio Strega.

Nel 1984 esce l’opera riunita, dal titolo Sillabari, pubblicata ancora da Mondadori. L’edizione cui mi attengo è G. Parise, Sillabari, Milano, Adelphi, 2004.

E di Poesia hanno molto, hanno tutto tranne i versi.

Evocano, rimandano, retificano, scuotono, frantumano, commuovono, entrano, trascendono, ci sorridono.



E scrive Parise:

Nella vita gli uomini fanno dei programmi perché sanno che, una volta scomparso l’autore, essi possono essere continuati da altri.

In poesia è impossibile, non ci sono eredi.

Così è toccato a me con questo libro: dodici anni fa giurai a me stesso, preso dalla mano della poesia, di scrivere tanti racconti sui sentimenti umani, così labili, partendo dalla A e arrivando alla Z.

Sono poesie in prosa.

Ma alla lettera S, nonostante i programmi, la poesia mi ha abbandonato.

E a questa lettera ho dovuto fermarmi.

La poesia va e viene, vive e muore quando vuole lei, non quando vogliamo noi e non ha discendenti.

Mi dispiace ma è così.

Un poco come la vita, soprattutto come l’amore.

Gennaio 1982.[15]



[15]G. Parise, Avvertenza ai Sillabari, cit., p. 12, corsivi nel testo.

Il passaggio ‘obbligato’ tra amore e Poesia, e viceversa, viene qui esplicitato.

Amore che ‘vola e ferisce’, che sa essere estremamente buono e positivo e abissalmente crudo e negativo.

Luogo o non-luogo dove tutto è portato all’eccesso, dove si esagera, dove si scava al fondo.

Dove ci si può finalmente ritrovare oppure perdere, infine, per sempre.

Parole perdute, parole lontane,
lettere scritte dal fondo della tua notte
in luoghi solitari,

Tutto il peso
della tua vita.

Tu percorri questo teatro assurdo,
i luoghi attraversati, i muri,
lo smarrimento delle parole.[16]



[16]L. Ray, Comme un chateau défait, tr. it. mia, Paris, Gallimard, 1993, p. 19.

auteur_460


L’estraneità emerge da questi versi del poeta francese Lionel Ray.

Una estraneità di solitudine, di parole che non arrivano a completare le nostre fatiche, a sanare i pesi che ci portiamo appresso; cerchiamo di alleggerirli attraverso la Poesia, ma le parole restano «perdute» e «lontane», vengono dalle nostre notti profonde o da posti desolati e deserti.

Quello che rimane da fare è addentrarsi in «questo teatro assurdo» e percorrere lo «smarrimento delle parole» che non consolano, non costruiscono, non tranquillizzano.

Per fortuna, non è sempre così.

Questo smarrirsi in terre desolate che emergono da dentro di noi può trasformarsi in un’esplosione di bellezza, di sicurezza, di pace.

Alla fine di una grande fatica, alla fine di un pellegrinaggio tra i versi dolorosi del «mestiere» di poeta, alla fine, come scrive Neruda: «ancora ho l’aurora / impigliata in ogni tempia».

Con questa ‘aurora’ è possibile tessere ragnatele di velluto in cui adagiare i nostri affanni e in cui catturare per un momento un silenzio e una quiete altrimenti lasciati andare via.

Concludo queste mie riflessioni con un poema di estremo ottimismo sulle sorti della Poesia.

Che essa possa ancora portare un po’ di medicina ai nostri dolori, che possa asciugarci le lacrime, farci crescere quando ci sembra di rimpicciolire, darci forza quando non ne sentiamo più, metterci le ali quando gli eventi o le persone che ci circondano ci schiacciano nel fango.



Che importa se il tuo pugnale

mi si pianta nella schiena?

Ho i miei versi, che sono

più forti del tuo pugnale!



Che importa se questo dolore

prosciuga il mare e oscura il cielo?

Il verso, dolce consolazione,

nasce alato dal dolore.[17]


(da web)



Edited by marî - 7/10/2017, 17:49
 
Top
marî
view post Posted on 9/4/2012, 15:22





Joumana Haddad

homepage_image



LETTERE DA BEIRUT.

Si scrive una poesia nel buio, nel tumulto; di giorno, di notte perdendo, vincendo; facendo l’amore, facendo la guerra; fuggendo, resistendo; dicendo di no, dicendo di sì.

Essendo vulnerabile, essendo un dio;

Si scrive una poesia, soprattutto, non pensando a come si scrive una poesia.

Insomma: si scrive una poesia Vivendo

Pubblichiamo il testo dell’intervento alla tavola rotonda “Come si scrive una poesia” alla quale sono intervenuti i poeti Valerio Magrelli, Antonella Anedda, Elisa Biagini e Joumana Haddad.

Il dibattito era coordinato dal critico letterario Andrea Cortellessa e si è tenuto a Roma durante “Libri come”, festival del libro e della lettura curato da Marino Sinibaldi.

Quando mi è stato chiesto di partecipare a una tavola rotonda dal titolo “Come si scrive una poesia”, ammetto che mi sono sentita un po’ confusa e sconcertata.

Confusa e sconcertata, ma anche sorpresa perché mi sono resa conto che, durante i 27 anni che ho già passato a scrivere poesie - o, almeno, a provare a farlo - cioè, sin da quando avevo 12 anni, ho spesso pensato al perché scrivo, al cosa scrivo, al quando.

Persino al dove! Però non ho mai pensato, nemmeno una volta, al “come”. A “come si scrive una poesia”.

Io le scrivevo, le mie poesie, e basta.

Anzi, loro si lasciavano scrivere da me.

Era molto simile a un destino.

Mai una decisione cosciente, razionale, lucida.

Sin dall’inizio, è stato un rapporto ludico, a volte anche capriccioso e irritante, tra me e questa “creatura” indipendente, libera, inafferrabile - ogni tanto arrogante, ma sempre eccitante - che mi dava la scomoda impressione di esistere da prima, e senza, che le mie parole la iscrivessero su un foglio.

Io ero il movimento sottile della marea.

Il vento umile dietro l’onda.

Ero il veicolo di una memoria, di un futuro, di un popolo e di una terra che mi superavano, e che, superandomi, scintillavano nei miei occhi e nella mia lingua.

Potrebbe sembrare una visione romantica, surreale, fuori moda, oppure una “poetizzazione” forzata della poesia; pero non lo è.

Non sto parlando di lune né di tramonti.

Non sto parlando di musica di violino, né di ispirazione divina.

Noi poeti, ne sono convinta, siamo semplicemente degli strumenti.

Strumenti di un’esperienza, di un’emozione, di un’idea, di un’immaginazione, di un’identità, di un’aspirazione.

Siamo anche degli architetti, ovviamente.

Non nego il lavoro, il sudore, la ricerca, la struttura: non nego che dopo la visione, dopo la provocazione, dopo l’abbaglio, deve venire necessariamente la costruzione dell’edificio.

Però, la “raccolta delle pietre”, la scelta del terreno, l’ideazione del palazzo, sono un percorso strano, irrazionale, quasi inspiegabile, che assomiglia molto all’innamorarsi.

È cosi che ho pensato che si scrive una poesia sognando.

Aprendo la testa, guardando nel pozzo, ascoltando la chiamata dello sconosciuto dentro di noi.

Anche quando quello che ci chiama fa paura. Anzi, soprattutto quando ci fa paura.

Si scrive una poesia, anche, respirando.

Respirando con delicatezza però.

E senza muoverci troppo.

Né bruscamente.

Perché la poesia è come una candela timida, che il soffio più piccolo potrebbe spaventare.

Si scrive una poesia raccontando una storia.

La nostra storia.

Sempre la stessa, sempre diversa e nuova.

Una ripetizione inventiva, un’invenzione ripetuta, che fioriscono nel cuore di una verità unica nella sua infinita trasformazione.

Si scrive una poesia ballando, toccando, accarezzando, abbracciando, baciando.

Credendo nella febbre, nel delirio, nel corpo che c’è sotto il corpo.

Nel fulmine che la freccia raccoglie e poi sparge.

Nella bocca che irriga l’oceano.

Si scrive una poesia viaggiando.

Scoprendo visi invisibili, strade dimenticate, linguaggi senza voce.

Viaggiando fuori, viaggiando dentro.

Però sempre verso il centro del cerchio.

Il centro dell’umano.

Si scrive una poesia dubitando.

Del tempo, dei limiti, della speranza; del vuoto, delle cose, delle persone; del passato, delle parole, del cammino; dei desideri, dello sguardo, dell’amore.

Si scrive una poesia dubitando di tutto.

Si scrive una poesia dubitando di noi.

Si scrive una poesia nel buio, nel tumulto; di giorno, di notte; perdendo, vincendo; facendo l’amore, facendo la guerra; fuggendo, resistendo; dicendo di no, dicendo di si. essendo vulnerabile, essendo un dio.


Si scrive una poesia,
soprattutto,
non pensando a come si scrive una poesia.
Insomma: si scrive una poesia
VIVENDO.


 
Top
marî
view post Posted on 9/4/2012, 16:55





Lingua e stile



Scrivere con proprietà di linguaggio dà ai vostri testi una marcia in più. Ma cosa vuol dire proprietà di linguaggio?

Vuol dire usare i vocaboli giusti, quelli più adeguati a esprimere un concetto.

Per esempio:

il verbo rompere si può usare per molti casi: si può rompere un vetro, un uovo, un osso, un contratto; ma si infrange un vetro, si sguscia un uovo, si frattura un osso, si scinde un contratto.

Ci sono poi dei termini che vengono spesso usati a sproposito.

Per esempio, fagocitare significa inglobare; la locuzione "piuttosto che" viene stranamente (ed erroneamente) usata per elencare alternative (al posto di oppure), mentre invece serve a esprimere preferenze (es.: "piuttosto che rivelare i nomi dei complici, si lasciò impiccare").

Curate lo stile



Evitate i luoghi comuni, le frasi fatte, le similitudini abusate (es. "nero come il carbone").

Evitate le ripetizioni di una stessa parola o di vocaboli simili all'interno di una frase (es. "il comandante comandò"; "la produzione poetica del noto poeta toscano"; "una villa sul mare e una villa in campagna"); cercate, quando possibile, di usare dei sinonimi.

Regole tipografiche



Qualsiasi documento che non sia manoscritto, quindi anche se composto con un qualsiasi word processor, o anche con una vecchia macchina da scrivere, dovrebbe seguire le più elementari regole tipografiche.

Per esempio, per quanto riguarda gli spazi, seguite il seguente schema:

tra parola e parola 1 sola battuta

tra parola e punteggiatura (virgola, punto, ecc.) niente spazio

dopo la punteggiatura (virgola, punto, ecc.) 1 sola battuta

dopo virgolette e parentesi di apertura niente spazio

prima di virgolette e parentesi di chiusura niente spazio

tra apostrofo e parola niente spazio.

Generalmente, il corsivo viene usato per:

- enfatizzare, porre in risalto una parola nel contesto (usare con moderazione, altrimenti perde appunto valore enfatico):

- es. La considerava non come una scienza, ma come la scienza

- parole latine e vocaboli in lingua straniera non entrati nell'uso comune

- titoli di opere (letterarie, cinematografiche, teatrali, pittoriche, ecc.)
es. La coscienza di Zeno, Guernica, Il flauto magico

- parole ed espressioni prese in quanto tali
es.: Dal latino aqua derivano in italiano acqua, in lingua d'oc aigue e in spagnolo agua.

La punteggiatura



La punteggiatura merita senz'altro un approfondimento.

Sapevate che è stata pubblicata un'opera in due volumi sulla punteggiatura, a cura della Scuola Holden, per i tipi della BUR?

Qui sarò molto più breve, non temete!

La punteggiatura dà al testo il ritmo, grazie ad essa il testo respira e chi legge non infila smarrito parole una dietro l'altra alla ricerca del senso: è la punteggiatura che guida il lettore alla decodifica del testo

Naturalmente, l'uso della punteggiatura denota lo stile di un autore.

Ogni scrittore può avere un uso personale della punteggiatura, ma - se non siete scrittori di professione e non avete vinto il Nobel per la letteratura - vi consiglio di attenervi a queste regole basilari.

1. Mai separare soggetto da verbo o verbo da complemento oggetto.

A volte il soggetto di una frase può essere molto lungo, perché costituito da un'altra frase: anche se pensate che ci stia bene una pausa, la virgola non va, perché crea una cesura sintattica.

2. I periodi troppo lunghi sono di difficile lettura: usate spesso il punto e virgola; isolate gli incisi: con due virgole se sono brevi, con due trattini o due parentesi se sono lunghi (ricordate sempre di "chiudere" con la stessa punteggiatura). Esempi di inciso:

"Mario, dopo aver vissuto vent'anni all'estero, non ricordava più il dialetto del suo paese";

"Di notte - che sia estate o inverno, che faccia freddo o caldo - dorme sempre con la finestra aperta";

"Un giorno (non mi ricordo se di mattina o di sera) cominciai a sentire uno strano ronzio".

Attenzione, non sono incisi le frasi relative che possono essere restrittive (es.: "la donna di cui ti ho parlato partirà domani"; ma "Francesco Rossi, di cui ti ho già parlato, prenderà servizio la prossima settimana").

3. Usate la virgola per separare elenchi di nomi ("c'erano donne, bambini, ragazzi e vecchi"), per separare frasi coordinate per asindeto ("non sento, non vedo, non parlo"), prima della congiunzione ma ("lo sapeva, ma non lo disse a nessuno"), per separare il vocativo ("Mamma, cosa fai là in piedi?").

4. Virgolette e lineette. Quando si riporta un discorso si possono usare le virgolette o le lineette, a vostro piacimento, seguendo le regole riportate negli esempi che seguono. Ricordate, però, di usare sempre lo stesso tipo di punteggiatura (operate la vostra scelta all'inizio e siate coerenti, uniformi) e di chiudere sempre ciò che aprite!

Esempi di discorso diretto



Osservate l'uso della punteggiatura negli esempi:

"Paola – disse Sandra – vieni qui!";

"Paola", disse Sandra, "vieni qui!"

Sandra disse: "Paola, vieni qui!".

Paola disse: "Sandra, ti devo parlare".

Sandra rispose:"Proprio adesso?".

"Proprio adesso?" rispose Sandra.

– Non vedi che sto uscendo? – aggiunse stizzita.

(Punti esclamativi e interrogativi vanno sempre all'interno della frase, e quindi delle virgolette o della lineetta. Chiaro il meccanismo?)

Il punto finale della frase va all'interno delle virgolette o delle parentesi se il periodo inizia all'interno delle virgolette o delle parentesi; va all'esterno se la frase tra parentesi o tra virgolette è racchiusa in (o introdotta da) una frase principale.

Fanno eccezione il punto esclamativo e interrogativo, che chiudono sempre la frase interrogativa o esclamativa.

Esempi (per le virgolette, vedi nota a fianco):

Non faccio che ripeterlo (ma mi state a sentire?).

Non faccio che ripeterlo. (Ma mi state a sentire?)

Fate un uso limitato dei punti esclamativi e dei puntini di sospensione:

un uso eccessivo di entrambi denota una scrittura immatura.

Troppi punti esclamativi danno alla narrazione un tono gridato, strillato, quasi in falsetto, o un tono da venditore di piatti al mercato.

Troppi puntini di sospensione indicano che non si ha chiarezza in quello che si vuol dire, resta tutto sempre vago, sospeso.

Uso delle parentesi.



Normalmente si usano solo le parentesi tonde: le graffe sono riservate alla matematica, le quadre si usano solo in casi particolari:

1. Per racchiudere le diciture N.d.T. (nota del traduttore), N.d.R. (nota del redattore) e simili. Ricordate che la nota del Redattore è apposta da persona diversa dall'autore (o da chi parla nel caso di un'intervista, o di un discorso riportato), quindi non ha senso usare N.d.R. in un testo che riporta unicamente i vostri pensieri, e non si usa mai in un testo narrativo (a meno che non siate i curatori di un'edizione critica di un testo narrativo...).

2. Per inserire un'ulteriore parentesi all'interno di una parentesi tonda (cosa che è accettata nelle citazioni bibliografiche, in un testo discorsivo è meglio evitare!).

Ricordate sempre di chiudere la parentesi che aprite e di non chiudere una parentesi che non avete mai aperto: sono una coppia inseparabile.

La virgola o i due punti vanno sempre dopo aver chiuso la parentesi, e mai prima di aprirla.

Per gli spazi, ricordate le regole esposte nel paragrafo precedente.

(da web)

 
Top
icon1  view post Posted on 9/4/2012, 17:14
Avatar

Senior member
Senior member

Group:
Administrator
Posts:
1,302
Location:
Cagliari

Status:
arrivederci




pollice-su



 
Web|  Top
marî
view post Posted on 14/4/2012, 07:55





DEDUZIONE

In logica, è la forma di ragionamento in cui si trae una specifica conclusione a partire da una o più premesse.

Nel ragionamento deduttivo valido, la conclusione deve essere vera se sono vere tutte le premesse.

Così, se si conviene che tutti gli esseri umani hanno una testa e due braccia, e che Berta è un essere umano, allora si può logicamente concludere che Berta deve avere una testa e due braccia.

Questo è un esempio di sillogismo, forma in cui spesso si esprime la deduzione.

INDUZIONE LOGICA

In logica, forma di ragionamento che procede da premesse particolari a conclusioni generali, in modo opposto alla deduzione.

Fondamento dell'induzione è il presupposyo che, se qualche cosa è vera in una qualità di casi osservati, essa è vera anche in casi simili non ancora vagliati: la probabilità di precisione nella conclusione dipende dal numero di casi-esempio osservati.

Il ragionamento indttivo è stato trattato da filosofi quali Francis Bacon e David HUme, John Stuart Mill e Charles Sanders Peirce.

LOGICA (dal greco logos, "discorso", "ragionamento")

Scienza che indaga i principi di validità del ragionamento e dell'argomentazione deduttiva.

Lo studio della logica è lo sforzo di determinare le condizioni in base alle quali è giustificato il passaggio da affermazioni date, dette premesse, a una conclusione che si presume ne segua.

La validità logica è una relazione tra le premesse e la conclusione, tale per cui se le premesse sono vere è vera anche la conclusione.

SILLOGISMO

Forma di argomentazione logica nella quale, a partire da due proposizioni, o premesse, si trae necessariamente una conclusione.

 
Top
marî
view post Posted on 14/4/2012, 15:05





alfabeto05NJAMBEMENT

E' una caratteristica del linguaggio poetico che consiste nello spezzare, tra la fine di un verso e l'inizio di quello successivo, una frase o un gruppo di parole che normalmente si leggono di seguito, senza pause.

Mammina, quante
dolci piccole stelle!
- U. Betti

alfabeto01SSONANZA

E' una rima imperfetta: si ha quando due parole hanno, nella parte finale, vocali uguali ma consonati diverse

mare - sale

alfabeto03ONSONANZA

E' un'altra rima imperfetta: si ha quando due parole, nella parte finale, hanno consonanti uguali ma vocali diverse.

tramonto - incanto

alfabeto15NOMATOPEA

E' una parola che con il suo suono riproduce o imita un rumore o una voce della realtà.

chicchirichì - scricchiolio

alfabeto01LLITERAZIONE

E' la ripetizione in parole diverse delle stesse vocali o consonanti o gruppi di lettere.

Nel ciel dorato rotano i rondoni - G. Pascoli

alfabeto01CCENTO alfabeto18ITMICO

E' quell'accento con cui si rafforza l'accento tonico di alcune parole del verso; molto raramente l'accento ritmico cade anche su una sillaba che non ha l'accento tonico.

Nel mezzo del cammìn di nostra vìta - Dante Alighieri

alfabeto19IMILITUDINE

E' una figura retorica con cui si paragonano due soggetti (il primo e il secondo termine di paragone); la similitudine può essere breve o lunga e complessa.

Il sole dentro la sera come il nocciolo nel frutto - F. Garcia Lorca

alfabeto13ETAFORA

E' una figura retorica con cui si esprime un significato utilizzando delle parole che normalmente vengono usate con un significato diverso.

Il vento è un cavallo - Pablo Neruda

alfabeto16ERSONIFICAZIONE

E' un tipo di metafora con cui si attribuiscono dei comportamenti, delle idee o dei sentimenti umani ad un oggetto o un animale.

Vanno a sera a dormire dietro i monti le nuvolette stanche - Umberto Saba

alfabeto06RASI alfabeto14OMINALI

Sono frasi che non hanno verbo.

Sulla spalletta del ponte le teste degli impiccati - F. Fortini

NELLE POESIE L'ARGOMENTO E IL TEMA sono due elementi distinti: l'argomento è ciò ci cui si parla, il tema è l'interpretazione dell'argomento.

LA PARAFRASI DI UNA POESIA è la sua traduzione in prosa.

Per fare le parafrasi di una poesia spesso si cambia l'ordine delle parole, si sostituiscono le parole difficili con altre di uso più comune, si spiegano le espressioni poetiche in cui si concentrano molti significati con un numero di parole maggiore di quello che ha usato il poeta.

 
Top
7 replies since 9/4/2012, 12:34   668 views
  Share