LE DONNE DIFFICILI, video messaggio dedicato a donne che...

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icon12  view post Posted on 11/3/2012, 12:53
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marî
view post Posted on 11/3/2012, 13:35




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La mia passione è l'impossibile

imgdx02-Anima



Uomo dai mille volti
io ti cerco invano e senza baccano
ma se non posso amarti troppo
non voglio amarti affatto
e per questo ho smesso di ascoltarti

Ti trovo eccitante nel tuo fare provocante
e di parole traboccante

Una sfida irresistibile diventi
se ingannevole me diverti
usando paraventi insoddisfacenti

Ti voglio uomo romantico
e immagine di dolcezza
nella tua incredibile debolezza

e sogno l’incantevole gentiluomo
imperfetto nel suo vivere di petto

e ti tratto da bambino capriccioso
quando giochi a fare il misterioso

e ti fai irascibile per essere credibile
in cerca di comprensione ad ogni occasione

o di conforto per un rapporto che muore
in malinconico languore

Se ti vedo inadatto devi essere incoraggiato
e per mano portato

ma se sento che distaccato sei di calore ti riempirei

e per finire dell’uomo
non rimane che l’ammirevole
tutto pregi e niente difetti
di una noia mortale con il suo fare regale
che renderebbe il tutto legale



(leggendo DONNE CHE AMANO TROPPO di Robin Norwood)

Edited by marî - 11/3/2012, 16:25
 
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marî
view post Posted on 11/3/2012, 16:02





donna_innamorata


DONNE CHE AMANO TROPPO
di Robin Norwood


Amare troppo
è calpestare, annullare se stesse
per dedicarsi completamente a cambiare
un uomo "sbagliato" per noi
che ci ossessiona,
naturalmente senza riuscirci.
Amare in modo sano
è imparare ad accettare e amare
prima di tutto se stesse,
per poter poi costruire
un rapporto gratificante e sereno
con un uomo "giusto" per noi.



Presentazione dii Dacia Maraini

Con il candore pratico di una buona massaia che insegna le ricette del buon mangiare per tenersi in salute, Robin Norwood in questo libro suggerisce alle donne le ricette contro il mal d'amore.

Naturalmente non il mal d'amore qualsiasi, ma quello che nei libri si chiama passione, perdizione, delirio e che lei con semplicità ha ribattezzato "troppo amore".

Quand'è che l'amore si trasforma in qualcosa di malsano, di pericoloso per la nostra salute fisica e mentale?

Quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo, risponde la Norwood, quando giustifichiamo tutti i malumori, il cattivo carattere, l'indifferenza, i tradimenti del patner, stiamo amando troppo. Quando siamo offesi dal suo comportamento ma pensiamo che sia colpa nostra perchè non siamo abbastanza attraenti o abbastanza affettuose, stiamo amando troppo.

Con questo tono pratico e dimesso la Norwood riesce a dirci alcune cose profonde e acute.

Per esempio che, quando amiamo troppo, in realtà non amiamo affatto; perchè siamo dominate dalla paura: paura di restare sole, paura di non essere degne d'amore, paura di essere ignorate o abbandonate.

E amare con paura significa soprattutto attaccarsi morbosamente a qualcuno che riteniamo indispensabile per la nostra esistenza; amare con paura comporta oltre tutto la messa in atto di tutta una serie di meccanismi di controllo per "tenere l'altro nell'area del proprio possesso".

Ma da cosa nasce questa paura?

La Norwood suggerisce di guardarsi indietro, verso l'infanzia, a quando s sono fatti i primi conti con i ruoi familiari: amore per il padre, attaccamento alla madre, esperienze di violenza, terrore dell'abbandono.[...]

Se una bambina è stata trascurata o abbandonata dal padre, tenderà da grande a trovare un uomo che la trascuri o la abbandoni.[...]

Quali segnali si accendono tra una donna che ha bisogno che qualcuno abbia bisogno di lei e un uomo che sta cercando qualcuno che accetti di essere responsabile per lui?

E' il disamore di sè, la sfiducia nel proprio valore, nelle proprie capacità, a creare nella donna la paura di non essere amata; e questa paura la porta ad accettare qualsiasi cosa dall'uomo che ha scelto perchè la rassicuri.

[...]Solo l'amore cieco e assillante di lui potrà rassicurarla e farla ritenere degna di amore e di stima; qualsiasi segno di indifferenza o di tradimento sarà visto come attentato alla sua stessa esistenza.

Da qui la sofferenza e la degradazione. [...]

a perchè tutto questo dovrebbe riguardare più le donne che gli uomini?

Ebbene, perchè le donne, per ragioni storiche, sono più portate a pensare male di se.

E' stato loro insegnato che sono deboli, dipendenti per natura, paurose, fragili, bisognose di protezione e guida.

Alcuni di questi insegnamenti per quanto superati sono entrati a far parte dell'inconscio femminile.

[...] In realtà, nessuno può controllare nessuno.

Per questo la gelosia è insensata: il possesso in amore è un'illusione stupida, in nome della quale si fanno tante sciocchezze. [...]

INDICE


- Amare senza fine

- Amare un uomo che non ricambia l'amore

- Sesso soddisfacente in un rapporto frustrante

- Se io soffro per te, tu mi ameresti?

- Il bisogno di sentirsi necessari

- Balliamo?

- Gli uomini delle donne che amano troppo

- La Bella e la Bestia

- Quando una dipendenza ne sviluppa un'altra

- Morire d'amore

- La via della guarigione

- Guarigione e intimità: colmare il distacco


 
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marî
view post Posted on 11/3/2012, 16:26





UN UOMO di Eugenio Finardi



Lei non lo sapeva ma aspettava un uomo
che la scuotesse proprio come un tuono
che la calmasse come un perdono
che la possedesse e fosse anche un dono

Era tanto tempo che aspettava l’uomo
che la ipnotizzasse solo con il suono
di quella sua voce dolce e impertinente
che proprio non ci poteva fare niente

Che la fa sentire intelligente
bella, porca ed elegante
come se fosse nuda tra la gente
ma pura e santa come un diamante

Un uomo dolce e duro nell’amore
che sa come prendere e poi dare
con cui scopare, parlare e mangiare
e poi di nuovo farsi far l’amore

Per seppellirsi tutta nell’odore
che le rimane addosso delle ore
che non si vuole mai più lavare
per non rischiare di dimenticare

Che le ricordi che sa amare
un uomo che sappia rassicurare
che la faccia osare di sognarsi
come non è mai riuscita ad immaginarsi

Un uomo pieno di tramonti
d’istanti, racconti e d’orizzonti
che ti guarda e dice: “Cosa senti?”
come se leggesse nei tuoi sentimenti

Un uomo senza senso
anche un po’ fragile ma così intenso
con quel suo odore di fumo denso
di tabacco e vino e anche d’incenso

Impresentabile ai tuoi genitori
così coerente anche negli errori
proprio a te che fino all’altro ieri
ti controllavi anche nei desideri

Tu che vivevi nell’illusione
di dominare ogni tua passione
tu che disprezzavi la troppa emozione
come nemica della ragione

Non sei mai stata così rilassata
così serena ed abbandonata
o così viva e così perduta
come se ti fossi appena ritrovata

Con un uomo senza senso
anche un po’ fragile ma così intenso
con quel suo odore di fumo denso
di tabacco e vino e anche d’incenso

Un uomo dolce e duro nell’amore
che sa come prendere e poi dare
con cui scopare, parlare e mangiare
e poi di nuovo farsi far l’amore



 
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marî
view post Posted on 12/3/2012, 14:42





amanti2-225 La Dipendenza Affettiva
Dott. Roberti

La Dipendenza Affettiva è un disturbo mentale che soltanto da pochi anni in Italia sta interessando clinici e ricercatori che a diverso titolo si occupano del fenomeno delle dipendenze, mentre negli Stati Uniti da più di 30 anni sono condotte ricerche su questa tematica.

Essa rientra nella più ampia categoria delle New Addictions (Nuove Dipendenze), che comprendono tutte quelle forme di dipendenza in cui non è implicato l’intervento di alcuna sostanza chimica (droga, alcol, farmaci, ecc.), ma l'oggetto della dipendenza è rappresentato da comportamenti o attività che sono parte integrante della vita quotidiana.

Tali comportamenti in alcuni individui possono assumere caratteristiche patologiche, fino a invalidare l’esistenza del soggetto stesso e il suo sistema di relazioni, provocando quindi gravissime conseguenze (oltre alla dipendenza affettiva, tra le New Addictions possiamo annoverare: la dipendenza dal gioco d’azzardo, da Internet, dallo shopping, dal lavoro, dal sesso e dal cibo).

Possiamo definire la dipendenza affettiva come una forma patologica di amore caratterizzata da una costante assenza di reciprocità all'interno della relazione di coppia, in cui uno dei due (nel 99% dei casi la donna) riveste il ruolo di donatore d'amore a senso unico, e vede nel legame con l'altro, spesso problematico o sfuggente, l'unica ragione della propria esistenza.

La continua ricerca d'amore ha tutte le caratteristiche della dipendenza da sostanze, tanto da condividerne alcuni aspetti fondamentali:

- l'ebbrezza: la sensazione di piacere, che il dipendente prova quando è con il partner, gli è indispensabile per stare bene e non riesce ad ottenerla in altri modi;

- la tolleranza: il dipendente ricerca quantità di tempo sempre maggiori da dedicare al partner, riducendo sempre di più la propria autonomia e le relazioni con gli altri;

- l'astinenza: l'assenza del partner (per lavoro ad esempio) getta il dipendente in uno stato di allarme.

Talvolta il bisogno della presenza fisica dell'altro è talmente forte che il dipendente sente di esistere solo quando il partner gli è vicino.

Il partner infatti è visto come l'unica fonte di gratificazione, le attività quotidiane sono trascurate e l'unica cosa importante è il tempo che si trascorre insieme.

Quali sono le principali cause all'origine della dipendenza affettiva?

Le cause vanno ricercate in particolari dinamiche familiari che hanno portato la persona dipendente a costruirsi un'immagine di Sé come di persona inadeguata, indegna di essere amata, dove il “termometro” della propria autostima è nella capacità di sacrificarsi per la persona amata.

Sono persone che riescono a tollerare tradimenti o anche violenze da parte del partner perché senza di lui si sentirebbero completamente perse.

Teniamo anche presente che molte donne, dipendenti affettive, hanno subito abusi sessuali, maltrattamenti fisici ed emotivi durante l'infanzia che non sono da sole riuscite ad elaborare.

Come si crea la dipendenza affettiva dal partner?

La dipendenza affettiva nasce prima dell'inizio del rapporto di coppia.

La persona dipendente d'affetto ricerca inconsciamente un partner che possiede già tutte quelle caratteristiche che la porteranno a soffrire.

Anche quando il rapporto finisce (normalmente il dipendente viene lasciato), la persona dipendente troverà una nuova relazione in cui metterà in atto le stesse dinamiche di coppia.

La dipendenza affettiva affonda le sue radici nel rapporto con i genitori durante l'infanzia.

La dipendenza dall'altro è una condizione naturale degli animali e ancor più dell'uomo, soprattutto nei primi anni di vita, quando lo sviluppo cognitivo-emotivo e la formazione dell'identità non sono ancora completati, e quando la relazione con le figure adulte è lo strumento privilegiato di conoscenza di Sé e del mondo.

Chi da adulto è dipendente d'affetto, quando era bambino ha ricevuto continui messaggi da parte dei propri genitori di non essere degno di amore né di attenzioni.

Spesso sono stati dei bambini che sono dovuti crescere troppo in fretta e hanno dovuto prendersi cura dei propri genitori, imparando così che l'unico modo per ottenere amore è quello di sacrificarsi per l'altro.

Ciò che accomuna l'infanzia di chi soffre di dipendenza affettiva è comunque una situazione di carenza affettiva che da adulti si cerca di colmare e compensare con atteggiamenti iperprotettivi e controllanti nei confronti del partner.

Quali sono i principali comportamenti che si hanno quando si dipende dal partner?

La scarsa autostima all'origine della dipendenza affettiva fa sì che la persona si comporti nei modi più disparati pur di venire incontro ai bisogni del partner.

Le donne dipendenti attuano comportamenti protettivi nei confronti del partner, rivestendo i ruoli di confidente, mamma, o infermiera in base alle necessità.

La donna tende a mettere da parte i propri bisogni nel rapporto di coppia, e nelle situazioni conflittuali soffoca la rabbia, la rimuove o la dirige contro sé stessa, manifestandola spesso in forma di sensi di colpa.

Dietro tutto questo c'è sempre la paura che il partner possa abbandonarla.

L'uomo dipendente invece è più facile che mascheri il proprio bisogno d'affetto proiettandolo fuori di sé, investendo gran parte delle energie nel lavoro, impegnandosi in hobby e sport, o comportandosi in maniera protettiva, talvolta fino all'eccesso della gelosia patologica.

È possibile che una persona cerchi sempre di ricreare le stesse dinamiche e si trovi sempre ad avere storie di dipendenza affettiva? Perché?

Freud parlava di coazione a ripetere, quel processo che conduce il soggetto a riproporre automaticamente dinamiche, comportamenti e situazioni negative del proprio passato, in maniera del tutto inconsapevole, senza avere quindi la capacità di un cambiamento per il futuro.

Accade a tutti e fa parte del modo normale di funzionamento della mente.

E' come se la persona avesse imparato a recitare solo e sempre lo stesso copione: per cambiare bisogna arricchirne le trame ed i personaggi.

Cosa accade nella coppia quando si verifica un tale squilibrio?

La coppia, quando si è costituita e funziona, è in perfetto equilibrio così com'è.

Chi la osserva da fuori invece ne percepisce lo squilibrio o, meglio, il disagio profondo.

La dipendenza affettiva, diversamente da quanto a volte si manifesta all'evidenza, non è un fenomeno che riguarda una sola persona, ma è una dinamica a due.

Il partner che “sceglie” di stare con una persona dipendente d'affetto, ha spesso anche lui il bisogno di essere accudito e di avere una relazione di tipo figlio-madre anziché alla pari, per dinamiche e problematiche familiari irrisolte.

Oppure, al contrario, può trovarsi ad esercitare un ruolo di persona sfuggente, irraggiungibile o rifiutante (per esempio quando il dipendente d'affetto cerca un partner sposato o non interessato alla relazione), per sentirsi così al centro dell'attenzione e compensare anche lui dei vuoti affettivi mai colmati.

Come affrontare la dipendenza affettiva del proprio partner?

L'equilibrio di coppia si fonda sempre sul dialogo, sul rispetto di sé stessi e sul riconoscimento dell'altro come individuo prima che come partner.

Se manca uno di questi tre ingredienti occorre ripartire da lì.

Ognuno di noi poi può aver attraversato un periodo di dipendenza affettiva: la possibilità di uscirne e di creare in seguito rapporti più autentici risiede nella capacità di ognuno di prendere coscienza del problema, di confrontarsi con il partner, mettersi in discussione e contrattare il rapporto su nuove basi, mettendo da parte le ipocrisie ed affrontando le paure reciproche.

Nel momento in cui il disagio e la sofferenza diventano troppo pesanti, tanto da compromettere seriamente la vita quotidiana, è bene rivolgersi ad uno psicologo.

L'obiettivo del processo terapeutico è rappresentato dall'acquisizione di consapevolezza, scoprire la propria fragilità può trasformarsi in una forza che permetterà di avere una più chiara visione della realtà e di conseguenza la capacità di migliorare la propria vita.

www.lrpsicologia.it/

 
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marî
view post Posted on 13/3/2012, 16:42





Voglia di cambiare

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Ci capita spesso di ricevere via email testimonianze di lettrici che esprimono un forte desiderio di cambiare vita, ricominciare, provare a fare quello che finora per motivi vari non avevano potuto realizzare.

Si tratta spesso di donne che hanno un matrimonio ed una famiglia, figli che stanno finendo di studiare, un marito che lavora.

Donne che vivono una situazione familiare almeno apparentemente 'regolare' (cosa sia la 'regolarità' poi è un altro discorso...).

Eppure, nonostante la situazione apparentemente tranquilla, il desiderio di cambiare, tentare nuove strade, sembra essere forte, e comune.

Così come l'insoddisfazione nei confronti della vita che stanno vivendo.

Abbiamo cercato di individuare gli argomenti più ricorrenti nelle lettere che riceviamo su questo argomento e li abbiamo proposti, sotto forma di intervista, alla D.ssa Mariacandida Mazzilli, psicologa e psicoterapeuta.

Sembra che spesso la raggiunta (o quasi) maturità e indipendenza dei figli coincida anche con il desiderio di molte donne di 'rifarsi' una vita.

Quasi avessero subito fino a questo momento una situazione familiare che adesso, venuti meno certi vincoli, deve lasciare posto a qualcosa di nuovo...

Non è mai tardi per cambiare, si può ricominciare a tutte le età.

Ogni trasformazione inizia, di solito, con una indefinita scontentezza ed una inquietudine alla quale, il più delle volte, non sappiamo dare un nome.

"Mi sento vuota, persa, non ho più voglia di fare nulla, ho voglia di scappare, andare lontano dove non ci sono persone che conosco, lontano dal mio lavoro, lontano dai figli, dal mio ruolo di madre…"

A volte succede di prendere coscienza che la vita che si sta portando avanti non fa sentire pienamente se stessi.

Una presa di coscienza forte che costringe a vivere una inevitabile crisi.

Momenti di insoddisfazione e di frustrazione facilitano la nascita di mille domande sul presente, sul futuro e acuiscono angoscia e indecisione.

E' proprio in questi momenti che la mente si riempie di ricordi legati a quando si era ragazze, quando si avevano meno impegni, quando si usciva con le amiche e si era corteggiate.

Si dà al proprio passato una valenza straordinaria, rimpiangendo tutto quello che non c'è più.

Inoltre, quando i figli si fanno grandi e se ne vanno e ci si ritrova a vivere in due, con il proprio partner, la coppia, costretta ad un faccia a faccia, a volte non si riconosce più e possono sorgere dubbi sul proprio compagno.

Ci si domanda se si vuole veramente invecchiare con lui al proprio fianco, se si è riuscite a portare avanti i sogni di gioventù e se si ha ancora il tempo per farlo.

Una sorta di bilancio, di "revisione" dei propri vissuti.

Il desiderio di "qualcosa di nuovo" stuzzica specialmente chi ha formato la famiglia in giovanissima età, rinunciando agli studi o a un sogno professionale per via dei vincoli familiari.

Inoltre, quando la propria figlia diventa donna, la madre, il più delle volte senza accorgersene, rivede se stessa adolescente e, inevitabilmente, una grande conflittualità prende il sopravvento all'interno del rapporto madre figlia.

La ragazza diviene oggetto dell' "invidia" di una madre che deve fare i conti con il proprio corpo che cambia, con la percezione di sé che assume sfumature più precarie e incerte.

Bisogni di "conferma" della propria femminilità, della propria capacità di interessare, di attrarre ancora l'uomo, acquisiscono importanza. Tutto questo può costituire un fortissimo stimolo a voltare pagina, rimettersi in discussione.

www.margherita.net

 
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marî
view post Posted on 14/3/2012, 08:38





Tulipani-danzanti-Maria-Grazia-Luffarelli-4334 (dal web - fatto realmente accaduto)

In un paese di cui non ricordo il nome, due ragazzi notarono che da diversi giorni, alcune aquile si recavano spesso presso un fiume vicino alla loro casa, per bere.

Vedendo che alcune erano giovani e piccole, decisero di catturarne una per farla diventare il loro cucciolo.

Catturarono un topo, prepararono una gabbia e la lasciarono aperta nella parte superiore, con il topo legato dentro, in modo che l’aquila vedendolo cercasse di mangiarlo.

Furono sufficienti pochi minuti e un’aquila cadde nel tranello ed entrò nella gabbia; a quel punto la gabbia venne chiusa e la giovane aquila rimase prigioniera al suo interno.

I ragazzi soddisfatti, andarono via.

Nei giorni successivi ritornarono per portare da mangiare all’animale che non appena li vedeva, si aggrappava alle sbarre emettendo suoni aggressivi, rifiutando il cibo.

Dopo tre o quattro giorni, pensando che l’aquila sarebbe morta di fame e non provando più soddisfazione nel seguire quello stupido gioco, i ragazzi decisero di aprire la parte superiore della gabbia per liberarla.

Poiché l’aquila è un animale potenzialmente pericoloso, uno dei due la distrasse avvicinando un bastone alla gabbia, mentre l’altro la scoperchiò, ma accadde l’impensabile: l’aquila non usciva dalla gabbia.

Il suo piccolo cervello, nei tre o quattro giorni di prigionia aveva schematizzato le pareti della gabbia come l’unico mondo esistente e a causa di ciò, non era più in grado di uscire, sarebbe stato sufficiente guardare verso l’alto per notare che la gabbia era aperta.

I ragazzi ritornarono spesso per controllare, ma l’aquila era sempre lì.

Si aggrappava arrabbiata alla gabbia ogni volta che li vedeva, ma non volava via.

Sarebbe sicuramente morta di fame di lì a poco.

Per fortuna una guardia forestale, vedendo la gabbia e comprendendo cosa fosse successo, narcotizzò l’aquila e la portò in un ricovero per rapaci.

Trovandosi in un nuovo ambiente e dovendosi riadattare, dopo qualche giorno l’istinto del volo prese il sopravvento e l’aquila ritornò libera.

Molto spesso l’individuo si comporta come quell’aquila, si lascia imprigionare dalle sue convinzioni e dai suoi pensieri che lo rinchiudono in un piccolo mondo. Infatti quando si è tristi o comunque in difficoltà, la mente ripiega su se stessa e diventa estremamente difficile essere consapevoli del proprio agire, in quanto la parte del cervello responsabile delle emozioni, prende in ostaggio il pensiero, facendolo continuamente rotolare su se stesso.

Le emozioni sono cose che ci accadono, perché noi non creiamo le emozioni, ma le situazioni in grado di modularle, purtroppo quando siamo tristi o comunque in difficoltà, diventano il movente per i futuri comportamenti.

La sfiducia si trasforma in timore, il timore alimenta la paura, la paura diventa ansia, la rabbia ci spinge verso l’odio e le emozioni ci rinchiudono in una piccola gabbia.

Il dominio della ragione ha fornito all’individuo il controllo su se stesso e sugli eventi che gli accadono, mentre le emozioni a volte ci sorridono, ma molto spesso producono solo turbamenti e conflitti.

Quindi apprendere a dialogare con la nostra emotività è fondamentale per la comprensione di noi stessi, in quanto l’intelligenza emotiva è la capacità a saper sfruttare le nostre risorse mentali, attraverso la gestione dell’emotività.

Abilità come la consapevolezza emotiva cioè la capacità di riconoscere e distinguere le emozioni, il controllo dell’emotività, la capacità a sapersi motivare, l’empatia cioè la capacità a riconoscere e comprendere le emozioni degli altri e la gestione efficace delle relazioni interpersonali, influenzano in modo determinante i nostri pensieri e i nostri comportamenti, perché ci consentono di valutare le emozioni degli altri al fine di intuire le loro intenzioni, e di predire il loro comportamento; ci preparano all’azione, perché ci consentono di comunicare e di percepire i messaggi che sono importanti per un agire socialmente intelligente.

Conoscere la nostra emotività, gli eventi significativi del nostro passato, il rapporto con le persone che sono emotivamente importanti per noi e le convinzioni che si sono determinate, è una tappa fondamentale nella comprensione di noi stessi.

Occorre avere fiducia in se stessi per consentire alle nostre potenzialità di potersi liberamente esprimere.

Noi siamo ciò che i nostri pensieri ci convincono di essere, per cui se non siamo soddisfatti, dobbiamo innanzitutto modificare i pensieri che ci remano contro, se vogliamo che gli eventi iniziano a sorriderci.

Certo non è facile, ma questo non può essere una motivazione per non agire
.



 
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marî
view post Posted on 14/3/2012, 16:08





Perché alcune persone si innamorano sempre delle persone sbagliate?

E perché anche quando capiscono che il partner non è quello giusto continuano a stare con lui?

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Ogni rapporto sentimentale sembrerebbe nascere da una serie di coincidenze fortuite: concatenazioni di eventi casuali, percorsi che inaspettatamente convergono.

Ma Freud affermava qualcosa su sui sarebbe bene riflettere:

"Trovare l'oggetto del desiderio, in realtà, vuol dire solo ritrovarlo".

Come a dire che ognuno sarebbe già predisposto, a livello inconscio, ad un certo incontro, a ritrovare cioè il proprio oggetto del desiderio.

L'innamoramento tende a rimettere in contatto, ad un livello profondo, col rapporto d'amore vissuto con i propri genitori e ognuno tenderà a riprodurre o, al contrario, ad evitare, i meccanismi di quella relazione primaria che lo ha segnato profondamente.

Può succedere allora che laddove nell'infanzia le figure genitoriali non siano state interiorizzate come calde ed empatiche, nella vita adulta la ricerca di un rapporto amoroso dovrà fare i conti con quei vissuti e potrà tendere verso situazioni difficili o addirittura impossibili.

Per esempio ci si può innamorare del ragazzo della migliore amica, del capo ufficio sposato, o della persona che non ricambia in maniera esclusiva.

Continuare a ricercare storie impossibili può quindi essere il segnale di un desiderio inconscio di non voler stare completamente "dentro" un rapporto o addirittura di non desiderarlo affatto.

Evitare storie d'amore "reali" (fatte cioè anche di intimità, rispetto, benessere) metterebbe così al riparo dalle separazioni "reali", in modo da non riaprire l'antica ferita del non essere stati amati sufficientemente.

Alcune donne hanno bisogno di tensioni, difficoltà e sofferenza per poter amare ed è possibile che, in questi casi, lui non sia realmente amato per quello che è, ma come ricettacolo di proiezioni ideali: una creatura che si vorrebbe plasmare secondo i propri modelli interiori, secondo i propri bisogni.

E non è raro il caso in cui, quando l'uomo sposato accenna all'imminente separazione dalla moglie (e diviene quindi realistica la possibilità di vivere finalmente un rapporto alla luce del sole) sia proprio la donna a tirarsi indietro.

Altra situazione tipica è quella della donna che si dedica totalmente all'uomo, lo cura, lo accudisce con atteggiamento dipendente e sottomesso, nonostante questi continui a manifestare il desiderio di allontanarsi.

Senz'altro in questi casi può esserci una inconscia soddisfazione nel giocare quel ruolo protettivo, quasi materno, ma spesso vi è una sofferenza profonda e una bassa autostima: lei non si sente "degna" di essere amata, e pensa di poter essere importante agli occhi di lui perché lo cura, lo soccorre.

Alla base vi è la paura di essere abbandonate che comporta l'attaccamento morboso a qualcuno che si finisce con il ritenere indispensabile per la propria sopravvivenza.

Alla base della sorprendente costanza con la quale amori sofferti e insoddisfacenti si succedono nella vita di una donna, si nasconde spesso un trauma infantile.

Una donna trascurata o abbandonata dalla figura paterna in tenera età, potrebbe essere attratta da uomini che in qualche modo riproducano quegli atteggiamenti.

Il motore di tutto è il disamore di sé, la sfiducia nel proprio valore, nelle proprie capacità, per paura di non essere amata: la donna è disposta ad accettare qualsiasi cosa dall'uomo che ha scelto in cambio di qualche minima rassicurazione.

E' facile così diventare dipendenti dal giudizio di lui, dalla sua affettuosità, dai suoi umori.

Maggiore sarà la ricerca di rassicurazioni, più frequenti saranno le fughe di lui e, proprio per impedire questa fuga, lei si adatterà a fargli da infermiera, da madre, da confidente, da serva, etc.

Sono queste le donne che più di altre desidererebbero cambiare il proprio partner, che tendono a controllarlo, costantemente accompagnate da un latente senso di fallimento del rapporto.

L'attenzione nei suoi confronti è però totale, anche quando parlano di lui ad altre persone cercando di sottolinearne i difetti e di ridicolizzarlo: più lei cerca di parlarne male, più resta invischiata in un perverso meccanismo che continua a relegarla ad un ruolo di secondo piano, impedendole così di cominciare un dialogo intimo e autentico con se stessa.

E per molte donne diventa così impossibile capire che non si può portare avanti una relazione con un partner senza aver prima sviluppato una relazione con loro stesse.

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Come possiamo capire se è una storia è davvero "sbagliata" o se invece può servire per traghettarci in un'altra fase della vita?

Spesso le donne si illudono che esista un sentimento d'amore senza condizioni, un amore romantico che annulli le differenze tra i partner invece di elaborarle nel reciproco adattamento.

Ma un amore idealizzato di questo tipo tenderebbe a cristallizzare il rapporto in una dimensione immobile, come se non si riuscisse ad accettare l'idea che inevitabilmente il tempo porterà dei cambiamenti nella vita dei due partner.

La presa di coscienza delle diversità (che dovrebbe rappresentare il naturale passaggio dall'innamoramento alla relazione vera e propria) diventa spesso un momento di divisione, quando ci si convince, magari erroneamente, di aver scelto un partner "sbagliato".

Nella coppia che vuole durare, l'amore deve trasformarsi continuamente, bisogna prendere coscienza di aspetti reali (sia positivi che negativi) che esistono in sé e nell'altro e della propria incapacità (e impossibilità) di soddisfare tutte le aspettative dell'altro.

In ogni rapporto esiste ambivalenza (coesistenza tra amore ed odio, alternanza di attaccamento e di allontanamento), ma spesso, di fronte alle prime crisi o a delle aspettative deluse, ci si ferma e ci si convince che il partner non va bene per noi.

Ogni crisi può essere costruttiva perchè obbliga a dialogare con se stessi e con la persona che è accanto, può spingere ad indagare sui propri bisogni, desideri e aspettative così da evitare l'errore di proiettarli sull'altro per poi restare inevitabilmente delusi.

Una coppia che parla molto, che trova compromessi, nella quale i partner cercano di restare il più possibile veri, autentici, una coppia che non perde la voglia di spiegarsi e di incontrarsi su un piano intimo per quanto aspri o frequenti siano gli scontri, è probabilmente una coppia destinata a durare a lungo.

Perché è così difficile, a volte, finire una relazione?

La fine di un rapporto costringe innanzitutto ad affrontare se stessi, a guardare i propri sentimenti accettandone l'ambivalenza e le contraddizioni.

Spesso chi se ne va è il più forte psichicamente, chi prende l'iniziativa della rottura del rapporto possiede già dentro di sé la forza necessaria per superare gli inevitabili disagi.

Chi viene lasciato prova dei forti sentimenti di rancore per l'ex compagno e accettare del tutto la separazione sembra impossibile.

Subentra un forte desiderio di rivalsa per i torti subiti e contemporaneamente rimane viva l'illusione che l'altro potrebbe forse ritornare.

Non è certo facile imparare a gestire la propria solitudine e la peggior reazione (purtroppo però anche la più frequente) è chiudersi in se stessi, colpevolizzarsi, cadere in una crisi di autosvalutazione, credere di non poter amare o di non poter essere amati più da nessun altro.

Tagliare un legame infelice all'interno del quale mancano intimità,comunicazione, eros (anche se all'inizio questi problemi non vengono riconosciuti da entrambi i partner) fa paura, certamente disorienta, però, nel vuoto della assenza, può piano piano aprirsi la strada una rinascita personale, costruita sulla fiducia in sé e sull'importanza dei legami affettivi.

Ciò che siamo nella vita, o ciò che diventiamo, è determinato anche dalle nostre esperienze di perdita e dal modo in cui le viviamo, le metabolizziamo ed eventualmente le superiamo.

Capire come affrontiamo una separazione ci può aiutare a conoscere meglio anche la nostra personalità.

Dopo una crisi si può scoprire di aver imparato qualcosa in più sulle proprie possibilità e i propri limiti, possono cambiare punti di vista, e può nascere il bisogno di contatti più autentici fino all'auspicata sensazione di "rinascita".


Dott.ssa Mariacandida Mazzilli, psicologa, psicoterapeuta
www.psicologiadonna.it

 
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marî
view post Posted on 20/3/2012, 10:23





La Psicologia femminile: Quello che le donne non dicono

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Seconda legge di Luigi: Le donne non parlano.

Corollari:

1. Le donne non dicono quello che vorrebbero.
2. Le donne non dicono quello che dovrebbero.
Spiegazione:

Il problema principale, nelle coppie, è la mancanza di comunicazione.

La prima cosa che mi viene in mente quando si parla di incomunicabilità è Franz Kafka, che col fatto di non riuscire a comunicare col padre, gli ha scritto una nreve lettera di oltre ottanta pagine.

E fortuna che non riusciva a comunicare.

La seconda cosa che mi viene in mente, invece, sono i “sei personaggi in cerca di autore” di mio zio Pirandello
(Eh, sono parente di Pirandello, e allora? Cos’è, solo lui può essere mezzo pazzo?).

In realtà nelle coppie c’è un serio problema di mancanza di comunicazione, per il semplice fatto che l’uomo e la donna non comunicano.

Non perchè passino il loro tempo a voltarsi le spalle, o a fissarsi languidamente nelle palle degli occhi (cose peraltro possibili e che talvolta avvengono), ma perchè quando si parlano, non riescono a comprendersi, oppure non dicono niente di utile.

Da questo punto di vista, come dagli altri, il problema non è di nessuno.

La donna, questo essere divino e alto, è straordinariamente complesso, al di sopra di ogni limite.

Se nel cervello umano i neuroni formano delle connessioni tra di loro, nelle donne formano delle trame più complesse di quelle che adornano le lenzuola che le bisnonne facevano a mano per il corredo delle figlie, qualche buon anno fa.

La complessità di trame che porta i neuroni femminili a interagire tra di loro lascia necessariamente l’uomo al di fuori dei ragionamenti che le sinapsi veicolano tramite inversioni di polarità a livello delle membrane neuronali.

Da questo punto di vista l’uomo è straordinariamente semplice: ha fame? Lo esprime in linguaggio semplice, talvota triviale.

Alcuni esempi possono essere: “tesoro, ho fame”, “amore, quando si mangia?”, “me sto a morì de fame” oppure “quanno cazzo mette a coce sti spaghettacci [bestemmia] [bestemmia]?”.

Semplice.

Banale.

La donna no.

La donna è sottile, la donna tace.

Se la donna passa con l’uomo davanti alla vetrina di una gioielleria, ed intravede un monile che la colpisce, non lo dice, ma lo pensa.

La donna non dice quello che vorrebbe, ovvero “tesorino, quel brillocco che costa tre anni di lavoro e un mezzo mutuo mi piace da impazzire… Me lo compri?”.

No, la donna è sottile, lei lo pensa.

L’uomo vede che la donna fissa il monile luccicante come un falco che in quota ha già puntato la sua preda, e non gli scolla gli occhi di dosso.

Non sbatte neanche le palpebre per non perdersi neanche un istante della visione mistica del gioiello luccicante.

E l’uomo, sebbene limitato, lo capisce, e le domanda, indicando il prezioso oggetto che riluce da dietro il vetro: “ti piace?”.

Lei accennerà un’espressione di sufficienza lasciandosi sfuggire appena un “mah, è carino…”, trattenendo dietro la rete di neuroni tutte le sue sensazioni, il suo desiderio ed anche qualunque cosa che potrebbe far lievemente intuire all’uomo la realtà dei fatti.

Se l’uomo decidesse di acquistare l’anello, la collana o quant’altro di desiderato della donna per farle una sorpresa, lei aprendo il pacchetto non esclamerebbe mai “grazie” o “che pensiero gentile” o ancora “sei un tesoro”, ovvero non dice quello che dovrebbe, ma se le sue prime parole saranno simili a “ma sei impazzito?” o “ma sei scemo?” o ancora “ma che cazzo ti dice la testa?”, addirittura prima di scoprire il contenuto del pacco regalo.

Questo è solo un esempio degli oltre mille possibili.

E la cosa buffa è che la donna, con questo genere di reazione si domanda perchè l’uomo non la capisca.

L’uomo è semplice, è binario. Funziona come un programma del computer.

La donna maschera e nasconde, ma a suo dire lancia dei segnali inconfutabili che l’uomo inspiegabilmente non capisce.

Situazione:

Lui: “Ciao, come stai?”
Lei: “Bene. Tu?”

Ecco fatto.

Lei ha appena vissuto una delle giornate più devastanti della sua vita: il gatto le si è suicidato ingoiando un pesce al mercurio, ha fatto un incidente devastando l’auto ed ha dovuto anche litigare con la persona che l’ha tamponata perchè voleva affibbiargli il torto; e dopo essere arrivata comprensibilmente tardi a scuola si è sorbita un cazziatone dal professore ed ha preso un brutto voto oppure è stata licenziata in tronco dal capo.

Come si fa a capire tutto questo?

Non avete notato come ha risposto la donna?

Era tutto chiaramente comprensibile osservando bene la risposta.

“Bene. Tu?”

Visto ora?

La n.

La n è la chiave di tutto.

Una diversa pronuncia della lettera n della parola bene, lì era scritto tutto.

Una donna l’avrebbe capito subito. Anche senza sentire la risposta alla domanda.

Perchè le donne sanno comunicare telepaticamente.

Le avanzatissime capacità cerebrali delle donne le permettono di comunicare telepaticamente mediante impulsi che solo loro però possono cogliere, perchè gli uomini non hanno le capacità extrasensoriali necessarie.

Gli uomini sono umani.

Le donne no, le donne sono di più.

Solo che non se ne rendono conto, e pretendono che gli uomini raggiungano le loro altezze intellettive, senza rendersi conto davvero di quanto non dicono.

E di quanto possa essere difficile per un comune mortale capire quello che non si dice.

Ed è normale allora che ci siano problemi di comunicazione nella coppia.

La donna non dice quello che vorrebbe.

Non dice neanche quello che dovrebbe.

E l’uomo tenta il metodo delle estrazioni del lotto.

Il problema è che i numeri che girano nell’urna sono 90, il numero giusto di ogni donna è solo uno.

E spesso, è un numero decimale illimitato non periodico, e nei 90 numeri dell’urna manco c’è.

www.barbagianni.net/?p=264


 
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marî
view post Posted on 27/3/2012, 08:13







Quello che le donne non dicono di Fiorella Mannoia

Ci fanno compagnia certe lettere d'amore
parole che restano con noi,
e non andiamo via
ma nascondiamo del dolore
che scivola, lo sentiremo poi,
abbiamo troppa fantasia, e se diciamo una bugia
è una mancata verità che prima o poi succederà
cambia il vento ma noi no
e se ci trasformiamo un po'
è per la voglia di piacere a chi c'è già o potrà arrivare a stare con noi,
siamo così
è difficile spiegare
certe giornate amare, lascia stare, tanto ci potrai trovare qui,
con le nostre notti bianche,
ma non saremo stanche neanche quando ti diremo ancora un altro "si".
In fretta vanno via della giornate senza fine,
silenzi che familiarità,
e lasciano una scia le frasi da bambine
che tornano, ma chi le ascolterà...
E dalle macchine per noi
i complimenti dei playboy
ma non li sentiamo più
se c'è chi non ce li fa più
cambia il vento ma noi no
e se ci confondiamo un po'
è per la voglia di capire chi non riesce più a parlare
ancora con noi.
Siamo così, dolcemente complicate,
sempre più emozionate, delicate ,
ma potrai trovarci ancora quì
nelle sere tempestose
portaci delle rose
nuove cose
e ti diremo ancora un altro "si",
è difficile spiegare
certe giornate amare, lascia stare, tanto ci potrai trovare qui,
con le nostre notti bianche,
ma non saremo stanche neanche quando ti diremo ancora un altro "si"goccia



 
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marî
view post Posted on 29/3/2012, 10:30





Breve introduzione alla psicologia del maschio e della femmina dell´uomo

Nell’attuale società occidentale, sempre più complessa anche sul piano dell’identità sessuale, occuparsi di psicologia del maschio e della femmina dell’uomo significa prima di tutto indagare l’influenza che questi due principi complementari esercitano all’interno di ognuno di noi.

Significa riflettere anche e soprattutto sulle influenze prima genitoriali e poi storico-culturali che determinano, sia in positivo che in negativo, gran parte dei nostri atteggiamenti e comportamenti, e quindi del nostro funzionamento sia affettivo (sentimenti) che cognitivo (prestazioni).

Tutto questo allo scopo di acquisire conoscenze ed esperienze capaci di aumentare la consapevolezza e di migliorare la qualità delle relazioni con noi stessi e con gli altri, fino a giungere all’espressione creativa, ovvero di ciò che noi siamo aldilà dei molti condizionamenti subiti.

La tappa evolutiva che l’umanità sembra ancora dover conquistare potrebbe essere quella relativa all’educazione ai sentimenti.

L’alfabetizzazione emotiva di massa potrebbe condurre l’individuo, la coppia, il gruppo e la collettività oltre i cortocircuiti del pensiero nevrotico, il quale è nutrito anche e soprattutto dalla mancanza di dialogo con noi stessi e con gli altri (vedi il fallimento di relazione).

Dalla psicoanalisi abbiamo appreso che la qualità del patrimonio emozionale dei genitori ha un ruolo centrale nella educazione ed evoluzione dell’individuo; non disponiamo infatti di un “libretto delle istruzioni” circa la complessità del nostro funzionamento ed in mancanza di una adeguata educazione non possiamo penetrare nelle nostre rispettive profondità.

Nella società attuale, in Occidente, è raro poter beneficiare di genitori sufficientemente buoni (vedi Winnicott) o di figure sostitutive capaci di trasmettere un’adeguata educazione ai sentimenti.

Se ci fermiamo ad osservare, scopriamo che la maggior parte dei programmi educativi utilizzati sono scelti in modo ingenuo, spesso sono il frutto dei condizionamenti provenienti dalla cultura familiare materna e paterna ed eccessivamente centrati sulla prestazione.

Il padre della psicoanalisi sosteneva che il vero privilegiato è colui che vive con successo le relazioni interpersonali, le quali se da una parte possono essere fonte di grande soddisfazione, dall’altra possono procurare grande frustrazione.

Nella trattazione che segue, estratta dall’opera “Maschio Amante Felice” di Claudio Risé, Ed. Frassinelli, cercheremo di riflettere insieme su alcuni aspetti della psicologia maschile e femminile, con particolare attenzione per l’attuale condizione del maschio che abita le culture occidentali, il quale sembra molto soffrire per gli avvenimenti che hanno caratterizzato i suoi ultimi 100 anni di storia.

Che sia stata la perdita del potere che il maschio aveva nell’800 a rendere i nostri maschi così insicuri e potenzialmente aggressivi?

Che siano stati i conflitti con le donne a ridurli così?

La donna, infatti, ha lottato e attraverso il movimento femminista si è giustamente ripresa alcuni suoi spazi psichici e fisici.

Anche i gay, le lesbiche e i trans stanno lottando per i loro diritti.

E l’orgoglio maschile?

La carenza in Occidente di maschi amanti felici – e quindi di femmine amanti felici – è probabilmente connessa con la mancanza del padre, di una figura maschile, di un iniziatore che insegni al piccolo dell´uomo “come si fa”.

Gli antropologi sono infatti concordi nell’affermare che l’essere umano non nasce sapendo per istinto come amare, come vivere la propria sessualità e come organizzare i propri affetti.

L’essere umano impara quando qualcuno gli insegna!

Per la prima volta nella storia il maschio entra a far parte della società iniziato dalla madre e da tutta una serie di figure femminili: maestre, terapiste e assistenti di vario genere.

Il quesito che ci propone l’ottimo Claudio Risé è:

possono le donne trasmettere le qualità psicologiche e istintuali del genere maschile?

E’ molto probabile che questo non sia possibile e sempre più uomini se ne stanno rendendo conto.

Il maschio senza iniziatori non sa vivere, non sa fare nulla ed è costretto ad andare avanti per prove ed errori e i risultati sono spesso disastrosi.

La televisione si è rivelata infatti grossolanamente incapace di sostituire il padre.

Caratteristica attuale dei media non è impartire una educazione, ma fornire informazioni a valanga, senza alcun discernimento.

Avviene pertanto che lo spettatore medio – non sufficientemente consapevole dei modelli che vengono proposti – possa riceverne influenze negative (es.: le star dello spettacolo non sono mai a disagio e anch’io devo adeguarmi al modello, anche a costo di reprimere le mie emozioni!).

Ma il guaio più grande dovuto all’allontanamento della figura paterna è la scomparsa di qualsiasi forma di educazione sentimentale.

Si trattava di procedure complesse di insegnamenti, iniziazioni e riti di passaggio per segnare la fine di una fase e l’inizio di un’altra.

Secondo Tobie Nathan le crisi adolescenziali sarebbero il frutto della scomparsa dell’iniziazione.

E’ probabile che durante l’adolescenza i figli dell’uomo si sentano confusi per il fatto che, a seconda delle necessità del momento, i genitori – o le figure di riferimento – tendano a considerarli adesso degli adulti responsabili, adesso dei ragazzi che non meritano fiducia.

L’esperienza dell’iniziazione è scaduta nell’esame di maturità, che invece di promuovere la giusta relazione tra corpo e anima (o psiche) promuove nei nostri giovani una eccessiva intellettualizzazione.

Il risultato è che invece di diventare i protagonisti del nostro corpo e della nostra esperienza di vita tendiamo sempre più a perdere il contatto con le nostre radici inconsce e archetipiche e quindi la nostra salute psicofisica.

La società occidentale contemporanea, ormai privata di padri e iniziatori, ha completamente abbandonato ogni attenzione dedicata alla formazione sentimentale dei giovani.

Ciò che interessa a questa società – solo apparentemente maschilista – non sono i sentimenti e gli ideali, ma i valori “materni” tesi al soddisfacimento dei bisogni:

la produzione e il guadagno.

Per “formazione dei giovani” oggi s’intende impartire loro una serie di nozioni direttamente o indirettamente finalizzate a svolgere una professione e a realizzare un profitto.

L’insegnamento dei sentimenti e del loro affinamento non è annoverato nei programmi educativi: gli stessi corsi di educazione sessuale si confondono con le lezioni di anatomia e questo non consente lo sviluppo di un’autentica relazione con la propria sessualità.

Cosa può imparare un giovane da un disegno dei genitali femminili se non è in contatto con la propria sessualità?

Se c’è un conflitto con la propria identità maschile non sarà certo un disegno ben fatto a risolverlo!

Maschi non si nasce per una particolare conformazione anatomica, ma lo si diventa con lo sviluppo delle nostre relazioni affettive e sessuali: prima con la madre, poi con il padre e infine con gli altri, i nostri oggetti d’amore e d’odio (in psicoanalisi il concetto di “oggetto” si estende anche alle persone).

Per questo nelle culture attente al problema dell’equilibrio e della felicità, comprese quelle cosiddette “primitive”, viene dedicata tanta attenzione alle iniziazioni al mondo maschile e all’educazione sentimentale del maschio.

Senza queste esperienze dirette il maschio è tale solo di nome; e soprattutto non sa amare.

Per amare, per diventare un amante felice, l’uomo deve innanzi tutto amare la propria condizione e questa non è una cosa così semplice da realizzare; egli deve infatti prima misurarsi con i condizionamenti, con le paure e con i luoghi comuni che si frappongono alla realizzazione della sua condizione di maschio.

Una vera e propria trappola per lo sviluppo del maschio, ad esempio, è quella del “complesso dell’amico delle donne”: il ragazzo comincia a pensare che gli altri maschi in fondo sono volgari e ridicoli e invece di assumere chiaramente il suo posto nel mondo maschile sceglie come amicizie varie figure femminili.

Questa posizione ha origini profonde e deriva fondamentalmente dall’assenza del padre e dalla incapacità di abbandonare la dipendenza dalla madre.

Un pregiudizio nei confronti del maschio, infatti, consiste nell’assunto secondo il quale “maschio è brutto”, non elegante, un poco stupido e soprattutto rozzo; dunque assumere una posizione allegramente maschile appare volgare.

Inoltre quello della sessualità maschile è un potere da non mostrare anche perché è diffusa l’opinione che si tratti di un potere ingiusto, pagato a caro prezzo dall’altra metà della popolazione umana.

Ma soprattutto essere maschio significa esprimere se stessi: quando si sceglie un comportamento per piacere all’altra persona – sia ella madre, fidanzata o moglie – si sta scivolando fuori dalla maschilità e affondando nella grande palude dei “figli di mammà”, degli amici delle donne, uomini che le donne prima o poi rifiutano perché percepiti poco virili.

Dietro questo atteggiamento non c’è una personale tecnica di seduzione, ma il potentissimo archetipo dell’Eterno Fanciullo.

Un archetipo è una forza da sempre presente nella storia dell’uomo espressa in rappresentazioni simboliche e riconosciuta in tutte le culture come capace di dare una direzione alla vita umana.

La psicologia del profondo ha dimostrato che gli archetipi giungono nella vita di una persona attraverso i condizionamenti invisibili operati dall’inconscio.

La maggior parte delle persone è totalmente inconsapevole circa l’entità dei contributi che questa dimensione tende a dare alla nostra esistenza cosciente.

L’archetipo dell’Eterno Fanciullo spinge l’individuo a non definirsi, ad evitare di incarnare il maschio adulto (giudicato “volgare”) mantenendo quella delicatezza che rende le donne felici soltanto fino ad un certo punto, poiché nel profondo la donna vuole sì essere compresa, ma anche presa!

Dietro ad un eterno fanciullo potrebbe esserci una madre poco amante degli uomini, che accetta il figlio solo in quanto “fanciullo” (buono) e teme la sua trasformazione in uomo adulto (cattivo); può anche esserci stato un tentativo di seduzione, di abuso, subito da bambino: un episodio del genere tende infatti a mantenere l’eros del giovane legato alla sua immagine infantile.

Ma ancor di più, diventare grandi per il maschio significa sempre fare i conti con una serie di aspetti imbarazzanti dell’identità maschile, quelli che la psicologia analitica chiama “l’ombra dell’uomo”.

Dentro questa ombra ci sono un po’ tutti i lati oscuri apparsi nel corso dei secoli nella storia del maschio (es.: violenze, crudeltà, potere).

L’archetipo dell’Eterno Fanciullo impedisce alla psiche maschile di confrontarsi con gli aspetti inquietanti dell’Ombra ove risiedono anche i contenuti più profondi della maschilità.

L’Eterno Fanciullo preferisce “non sporcarsi le mani”.

Inizia così ad innamorarsi della propria immagine bella e pura.

Anche nella mitologia greca i “fanciulli-fiore”, espressione dell’archetipo dell’Eterno Fanciullo, sono personaggi affascinanti, ma che non fanno una bella fine (es.: mito di Narciso).

Quando l’adolescente sceglie di incarnare il giovane dubbioso attiva tutta l’energia dell’archetipo dell’Eterno Fanciullo e acquisisce quella sua atmosfera affascinante, ma poco vitale e soprattutto poco virile!

La psiche maschile è in effetti il campo di battaglia di due forze contrastanti di cui una attira il maschio verso l’alto, verso le grandi idee, i grandi sogni e le celesti aspirazioni.

Concedersi eccessivamente a questa potenza, che è connessa con la tendenza all’anticorporeità, conduce il corpo alla distruzione (es.: il volo di Icaro).

E’ probabile che questa stessa forza agisca anche negli eterni fanciulli kamikaze, così graditi alle Divinità…

Per un qualche motivo, infatti, questa forza viene definita spirituale, anche se l’idea della materia che si oppone allo spirito sembra invece una costante delle religioni autoritarie così ben predisposte al fanatismo.

In esse si spingono le persone a far male l’amore così da deprimere le energie, la fantasia e la voglia di vivere, così da poterne controllare più agevolmente i comportamenti.

Il miglior amante è invece colui che riconosce il corpo proprio e quello altrui come dotato di forza e bellezza divina.

Forza verticale, quindi lo spirito, l’ascesi e gli ideali (il volo di Icaro, ma alla giusta quota!), e la contemplazione della forza orizzontale, che ci fa inchinare dinnanzi alla bellezza della terra, del corpo della donna e della natura, tra l’altro connessi con il significato originale dei simboli Croce – linea verticale che si salda con la linea orizzontale – e Stella di Davide, triangolo che punta in alto saldato a triangolo che punta in basso.

Lavorare sull’equilibrio di queste forze significa promuovere anche il nostro equilibrio mentale: la fusione di queste due potenze attraverso l’esperienza dell’amore autentico sembra essere l’unica via percorribile.

Nelle iniziazioni maschili si insegnavano all’uomo la bellezza e la potenza del Dio Fallo: si pensi a quanto oggi l’aggettivo “fallico” tenda ad essere dispregiativo, a significare prepotente, violento, ottuso, dominatore.

Gli esempi sono innumerevoli: si pensi alla recente canzone “Oriente” di Nicolò Fabi, nella quale si trova “evviva un uomo nudo quando è carnevale” oppure si osservi il significato che comunemente attribuiamo parole “figata” (positivo) e “cazzata” (negativo).

In Occidente sono pochi i casi in cui il membro maschile viene rappresentato con valenza positiva.

Eppure per secoli e in tutte le culture il Fallo è sempre stato onorato come il Dio del principio maschile, che, insieme alla Dea del principio femminile (la Yoni, la Sacra Vulva) e a tutte le Dee che la rappresentavano, dava origine e continuità alla storia del mondo.

Nei riti iniziatici dei cosiddetti “primitivi” (vedi evoluzionismo vs. relativismo culturale), che si tengono proprio nel momento dello sviluppo, l’importanza e il valore della sessualità maschile si esprimono nei riti di “adorazione del Fallo” (un oggetto di culto dalla forma fallica che viene adorato e onorato in vario modo).

Il Fallo viene considerato un Dio al quale essere devoti in chiave transpersonale (prospettiva del trascendere l’io).

Invece, attualmente, per motivi storico-culturali (soprattutto rivoluzione industriale, i due conflitti mondiali e boom economico), nelle culture occidentali il maschio non viene più iniziato dal padre e da altre figure maschili, ma dalla madre e da altre donne.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti: il figlio non interrompe la sua dipendenza con la madre, subisce la cosiddetta “matrizzazione”, e viene da lei consegnato alla moglie, erede – spesso giustamente riluttante – del potere materno!

Il maschio passa quindi da una dipendenza ad un’altra senza aver effettuato i suoi viaggi iniziatici ed aver sviluppato la sua propria sensibilità maschile e il minimo di autonomia necessaria all’espressione adeguata di se stesso.

Questi “figli senza padre” ovviamente fanno una gran fatica a sentirsi maschi.

Da questa condizione di maschio femminilizzato è nata una cultura che svaluta e deride il fallo, cioè la base simbolica della condizione maschile trasformandolo in un oggetto di derisione: da Dio Fallo a oggetto da barzelletta (lo stesso Jean Jacques Rousseau, uno dei pensatori che maggiormente hanno influito nella costruzione del pensiero attuale, in uno dei suoi scritti definì il fallo “l’oggetto ridicolo”!).

La caratteristica del Fallo è invece “la forza equilibrata”: l’erezione che trasforma il pene in un fallo è un atto di forza, di equilibrio e di centratura; il pene, invece, privo di forza, oscilla di qua e di là: in Toscana viene chiamato anche “il bischero” (da cui il significato di “stupido”).

Lo smarrimento della relazione con il proprio istinto maschile e con l’uomo selvatico che ne è portatore conduce inesorabilmente all’insorgere di una psicologia maniaco-depressiva più o meno abilmente camuffata.

Per ritrovare il gusto e la capacità di amare, i maschi matrizzati devono liberarsi del fastidio che provano per il padre, dinamica che produce effetti negativi sulle loro opinioni circa la natura maschile.

In base a quanto accade nelle terapie con figli matrizzati, per diventare effettivamente capace di amare, sembra indispensabile che il figlio possa riaprire un dialogo (anche simbolico, interiore) con il padre e con il mondo maschile che lo ha preceduto.

Una terapia ben condotta può certamente essere utile nella costruzione di questo nuovo profondo dialogo con se stessi. Accettare la sfida in una società nella quale “maschio è brutto” non è facile, ma può riservare al novello Parsifal (il mitico penetratore delle valli) sorprese inaspettate!

La donna ne godrà di conseguenza, anch’ella liberata da fardelli che non le appartengono..

Il degrado della sessualità, ormai vissuta – quando effettivamente praticata – come un esercizio di benessere tale e quale al body building o come un anti-stress, o peggio ancora come la messa in atto di traumi non sufficientemente elaborati (via maestra alle parafilie, tra le quali svetta tristemente la pedofilia), è sotto gli occhi di tutti.

Lavorare sugli Archetipi ci consente l’indagine dei desideri e delle fantasie più profonde, promuovendo inoltre la connessione con i “mondi altri” di cui facciamo parte (es.: la misteriosa dimensione del sogno).

Esprimere noi stessi ai vari livelli e nonostante i condizionamenti subiti è un modo per risparmiare sui dazi che la vita cosciente paga all’inconscio, il quale è troppo spesso gestito in modo coatto e quindi sempre in cerca di una buona occasione per vendicarsi!

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marî
view post Posted on 1/4/2012, 10:46





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Dietro ogni uomo...

Barbara Walters, famosa giornalista televisiva americana ha condotto uno studio sui ruoli maschili e femminili a Kabul in Afghanistan, alcuni anni prima del conflitto afgano.

Ne è risultato, tra le tante cose, che le donne, per tradizione, camminano 5 passi dietro al marito.

Recentemente è tornata a Kabul e ha osservato che le donne continuano a camminare dietro ai loro mariti.

Il regime dei talebani ha fatto sì che camminino adesso ancora piu distanziate dai loro uomini, ma quello che lascia perplessi è che le donne sembrano felici di mantenere la vecchia tradizione.

La signora Walters ha allora avvicinato una delle donne afgane e le ha domandato:

"Come mai sembrate felici di questa vecchia tradizione che una volta avete cercato con tanta determinazione di cambiare?".

"Le mine", rispose l'interpellata senza esitazione.

Morale: dietro ogni uomo c'è una donna intelligente.


 
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view post Posted on 22/7/2012, 15:06
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LE DONNE DIFFICILI

Sono le donne difficili quelle che hanno più amore da dare, ma non lo danno a chiunque.
Quelle che parlano quando hanno qualcosa da dire.
Quelle che hanno imparato a proteggersi e a proteggere.
Quelle che non si accontentano più.
Sono le donne difficili, quelle che sanno distinguere i sorrisi della gente, quelli buoni da quelli no.
Quelle che ti studiano bene, prima di aprirti il cuore.
Quelle che non si stancano mai di cercare qualcuno che valga la pena.
Quelle che vale la pena.
Sono le donne difficili, quelle che sanno sentire il dolore degli altri.
Quelle con l'anima vicina alla pelle.
Quelle che vedono con mille occhi nascosti.
Quelle che sognano a colori.
Sono le donne difficili che sanno riconoscersi tra loro.
Sono quelle che, quando la vita non ha alcun sapore, danno sapore alla vita.
Mara Bagatella

 
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marî
view post Posted on 7/10/2012, 11:09





da DONNE CHE AMANO TROPPO di Robin Norwood

1



- Amare senza fine

Quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo [...]

Quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo cattivo carattere, la sua indifferenza, o li consideriamo conseguenze di un'infanzia infelice e cerchiamo di diventare la sua terapista, stiamo amando troppo. [...]

Quando non ci piacciono il suo carattere, il suo modo di pensare e il suo comportamento, ma ci adattiamo pensando che se noi saremo abbastanza attraenti e affettuose lui vorrà cambiare per amor nostro, stiamo amando troppo.

Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere, e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo. [...]

- Ma è proprio vero amore?

Se mai vi è capitato di essere ossesionate da un uomo, forse vi è venuto il sospetto che alla radice della vostra ossessione non ci fosse l'amore ma la paura; noi che amiamo in modo ossessivo siamo piene di paura; paura di restare sole, paura di non essere degne di amore e di considerazione, paura di essere ignorate, o abbandonate, o annihilite.

Offriamo il nostro amore con la speranza assurda che l'uomo della nostra ossessione ci proteggerà dalle nostre paure; invece le paure e le ossessioni si approfondiscono, finchè offrire amore con la speranza di essere ricambiate diventa la costante di tutta la nostra vita.

E poichè la nostra strategia non funziona, riproviamo, amiamo ancora di più.

Amiamo troppo. [...]

- Un fenomeno tipicamente femminile

[...] Ma sento il dovere di avvertire le donne che amano troppo che per loro questo libro non sarà una lettura facile. [...]

[...] Leggete adagio, in modo da potervi mettere in relazione sia intellettuale sia emotica con queste donne e le loro storie: queste vi sembreranno forse dei casi estremi, ma vi assicuro che è vero il contrario. [...]

- Amarsi per amare meglio

[...] Non ci sono scorciatoie per liberarvi dalla vostra tendenza ad amare troppo, ormai tanto radicata.
E' un tipo di comportamento che avete imparato da piccole e avete continuato a praticare: abbandonarlo sarà doloroso, vi costerà angosce e paure, sarà una sfida continua. [...]



Edited by marî - 28/10/2012, 15:27
 
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